venerdì 22 aprile 2011

L'onore e la passione (I parte)

L'ONORE E LA PASSIONE (testo completo)
L'ONORE E LA PASSIONE romanzo storico di Giuseppe Bronzi e Roberta Sprengler
lunedì 20 settembre 2010
Presentazione e intero testo del romanzo
Presentazione
di Helen Klein, vicepresidente dell’Associazione per i meetings per la memoria
Il prof. Giuseppe Bronzi mi ha affidato il compito di presentare l’ ONORE E LA PASSIONE ai lettori. Coloro che hanno letto SPECCHI SUL LAGO 1944 sanno che il romanzo in quella prima edizione ruota sostanzialmente intorno al personaggio di Margherita, una vera amazzone, cerebrale, alla ricerca di una sua identità personale sotto diversi punti di vista, una figura che ha affascinato moltissimo l’autore medesimo (oggi è una ultraottantenne con uno sguardo profondo, un magnetismo e una mente straordinaria). Si è aperta grandiosamente a lui nel racconto rivelando una straordinaria capacità di mettersi a nudo e di outing: il personaggio di Luciano rimane in penombra pur risultando l’unico vero eroe e tale viene proclamato.
Ma Margherita non riesce ad uscire da una sua dialettica interiore, rimane prigioniera delle sue contraddizioni, non riesce a fare luce piena su se stessa, viene colpita negli affetti più teneri. Mentre esce dal campo di Casellina, morta Elvira, tradito Luciano, nessuna notizia di suo padre, già volontario in Russia, il doloroso ricordo della mamma morta sotto i bombardamenti in Sicilia, si ritrova con un pugno di foglie secche in mano. Rimarrà single per tutta la vita, dedicandosi all’insegnamento con grande successo e stima professionale.
Quando è uscito SPECCHI SUL LAGO 1944 1^ edizione, nessuno di noi conosceva la sorte di Elsa, una delle tre ausiliarie (le altre due erano Margherita ed Elvira), che il 25 aprile 1945 si incamminarono su quella strada lombarda verso un destino ignoto. Fu subito catturata (non riuscendo a trattenersi dall’inveire contro un gruppo di partigiani) e “Non si seppe più nulla di lei!”.
Nel luglio 2009 invece giunse all’autore un biglietto, seguito da una telefonata, in cui Elsa: “Io sopravvissi e… ( una breve sintesi della sua storia). La cosa più importante da farsi, era che Margherita ed Elsa, le due sopravvissute, si incontrassero di nuovo e l’occasione fu la presentazione del romanzo SPECCHI SUL LAGO 1944 a Monterosso al mare nelle Cinqueterre alla villa Simoni. Ciò avvenne il 19 agosto 2009.
Se Margherita è esuberanza di attributi fisici e mentali, cervello, fascino, seduzione, calcolo, personaggio complesso, contraddittorio, Elsa è passione pura, istintiva, dedizione totale all’ideale e alla missione, è semplice, solare, diretta, nostalgica, sincera: ama fino in fondo senza pause o incertezze.
Coerente a se stessa, conosce e si innamora di Damiano, il partigiano bianco, che la convince della necessità di abbandonare una causa persa e superata dalla storia (IL RISCATTO DELL’ONORE TRADITO) per un'altra causa:IL RISCATTO DELL’UMANITA’ SOFFERENTE, DEI DEBOLI, DEGLI OPPRESSI, il cuore dell’ideale cristiano.
Perde nella lotta amorosa e sublima il tutto nella fondazione di una casa di accoglienza per ragazzi in difficoltà esistenziale ed emarginati: se Margherita non supera la sua, per così dire, negatività, rimanendo imprigionata nel suo passato, Elsa continua ancora oggi positivamente ad amare e ad operare per le nuove sfide del terzo millennio, finché ne avrà la forza.
Così si alimentano ancora L’ONORE E LA PASSIONE.


Prologo alle due storie parallele e correlate
25 aprile 1945: tre ausiliarie della RSI incontro al loro destino
Nel dare l’ultimo saluto ai camerati e alle camerate nella sede della brigata, in una città del Norditalia, il federale aveva sciolto tutti dal giuramento, lasciando libero ognuno di fare la scelta che riteneva più opportuna. Se qualcuno riteneva di poter raggiungere la propria abitazione, era libero di farlo. Li attendeva l’ignoto: disse anche che, rimanendo, nella migliore delle ipotesi avrebbero dovuto prepararsi al viaggio verso il campo di concentramento. Gli uomini imprecavano, le donne piangevano, mentre con le pale aiutavano lo scrivano a bruciare le carte degli archivi nelle caldaie; le loro lacrime sembravano alimentare le fiamme.
I più decisero di rimanere per apprestarsi all’ultima resistenza, mentre le tre ausiliarie Margherita, Elvira ed Elsa decisero di partire: Margherita stipò nello zaino tutto quello che poteva e così fecero le altre. Saluti, abbracci e lacrime.
Uscendo e dopo aver percorso qualche chilometro, si accorsero che tutto era cambiato: nelle piazze venivano abbattuti e distrutti gli stemmi, venivano issate le bandiere rosse e suonavano le campane di tutte le chiese.
Vedevano sfilare schiere dei partigiani: la gente applaudiva ai “traditori”.

Interruppero il loro incedere frenetico e convulso e rimasero per alcuni istanti immobili e impassibili, confuse e con l’anima nel caos.
Elsa, però, non si trattenne dall’apostrofare con asprezza un gruppuscolo di partigiani che inveiva, in preda anche ai fumi dell’alcool, contro il Duce: “Siete pecoroni e traditori…”.Fu riconosciuta: “E una spia fascista della brigata nera, la riconosco…”. Fu catturata e portata via: non si seppe più nulla di lei...

Capitolo 1°
Elsa prigioniera umiliata (Elsa sopravvisse e…)
Fu letteralmente trascinata e spinta per oltre 200 metri verso un camion dove già erano state caricate altre persone: anziani, giovani e donne di diversa età. Costretta a salire, si sedette ed ebbe modo per un attimo di guardare la lunga strada che aveva iniziato a percorrere insieme alle altre due ausiliarie. Sperò di poterle ancora vedere lontano in un sussulto di speranza. Ma non vide nessuno e cercò un dialogo con le persone che condividevano la sua condizione. Un giovane era ferito e imprecava contro Dio e gli uomini: “Ero a Milano tre giorni fa (22 aprile 1945), eravamo migliaia di fascisti in armi, siamo partiti da piazza Sansepolcro ed abbiamo sfilato per le strade di Milano fino a raggiungere corso Monforte, il quartier generale del Duce e chiedergli ordini definitivi in vista dell’ultima battaglia. Sfilavamo cantando gli inni della Repubblica Sociale. Entrammo nel cortile della Prefettura fino a riempirlo. Gridavamo Duce, Duce, il nostro entusiasmo fece scendere il Duce in mezzo a noi. Lo invocavamo dicendogli che non lo avremmo mai abbandonato… Il federale di Milano Costa lo supplicò a nome di tutti di dare ordini e di farci sapere quali fossero i suoi programmi. Li avremmo eseguiti sino in fondo. Mussolini ha parlato dicendo che avremmo potuto raggiungere i monti per resistere, ma che qualunque cosa fosse accaduta, tutti dovevano ricordare di aver combattuto per l’onore d’Italia. Ma disse anche che l’ora era grave e che dovevamo stringere i vincoli di cameratismo consacrati da tanti sacrifici perché l’Italia avrà ancora bisogno di noi…”.
Il giovane aveva interrotto il racconto in lacrime .
“Mi fu detto che Pavolini raccoglieva tutte le camicie nere per raggiungere il lago di Como, ma io avevo capito che Mussolini non aveva alcun programma preciso, anche perché alcuni gerarchi dialogando fra loro avevano detto che non esisteva alcun ridotto in Valtellina e che Como era soltanto una tappa per la fuga in Svizzera, un ingresso che le autorità elvetiche avrebbero forse consentito soltanto al Duce e ad una cerchia ristretta di collaboratori, forse tutti i membri del Governo, e non certo agli altri seguaci. Ascoltai un ufficiale di fanteria che riferì una frase dello stesso Graziani: “Temo che stavolta Mussolini pensi soltanto a se stesso e alla propria pelle…”.
Mi sembrava che il mondo stesse per crollarmi addosso, il cuore batteva forte e mi girava la testa: era meglio tornare dalla mia famiglia sul lago Maggiore. Così mi allontanai da Milano; chiesi ad una famiglia di contadini abiti da borghese in cambio della divisa, dell’orologio e dello zaino pieno zeppo di alimenti e sigarette, ma mi furono negati, perché per gente come me non c’era niente. Fui catturato e ferito alle porte di questa città e sono qui . E’ finita, camerati, non rivedrò più mia madre”.

Elsa fremeva di rabbia e di dolore: tutto era avvenuto così in fretta: si parlava di armi segrete che avrebbero cambiato i destini della guerra, si parlava anche di una pace separata con gli anglo americani per continuare la guerra contro i comunisti; invece “eccoci qui nelle loro mani”. E il Duce che non dà ordini, c’è chi dice che scappa: “Non è possibile, non è possibile,…”:continuava a ripetere.

Il camion uscì dalla città, una città in festa, e questa era la cosa più sorprendente e sconcertante per Elsa che aveva creduto con tutto l’ardore di una fede incrollabile nel fascismo e nel Duce (il suo secondo padre), che era un dovere di tutti gli italiani il ricatto dell’onore tradito. Non riusciva a comprendere come altri, magari della stessa generazione, potessero nel frattempo aver maturato scelte fondamentali opposte e sognare altri modelli e ideali di patria, assolutamente in buona fede e in pace con la loro coscienza di italiani..

Giunti in cima alla collina il camion si arrestò e svuotò il carico umano riversandolo in un grande capannone dove già erano presenti intere schiere di soldati della RSI, camicie nere, borghesi, donne: ma Elsa era l’unica donna in divisa con il gladio e il basco con lo stemma cucito del S:A.F. (Servizio ausiliario femminile).

Elsa avrebbe addirittura voluto quasi prendere la parola per motivare tutti all’orgoglio e al ricordo di aver combattuto per l’onore d’Italia, se ne avesse avuto il coraggio e la temerarietà. Dopo aver scalpitato fremente, ne trovò alla fine sciaguratamente il coraggio e con il cuore in gola iniziò a parlare con grande stupore di tutti, cercando di comunicare agli altri quello che Mussolini aveva detto nel suo ultimo discorso a Milano. Tutti gli sguardi erano su di lei, ma purtroppo anche quelli di due partigiani che presiedevano l’ingresso del capannone.

Non le permisero che una breve allocuzione rubata al tempo, perché fu presa e condotta in una stanza, dove sembrava piuttosto che stesse già operando un improvvisato tribunale. Uno dei due uomini che l’avevano condotta fin lì, si avvicinò a quello che sembrava essere il comandante e gli parlò all’orecchio: il comandante guardò e fece con le mani un gesto inequivocabile che alludeva alle forbici.
E fu così che Elsa dovette subire, fra insulti, risate e scherno l’umiliante rito del taglio dei capelli a zero e subito dopo rinchiusa in una stalla in stato di isolamento. Arrivò la notte: mentre si accingeva a dormire in un rimediato letto di paglia, prendeva spazio nella sua mente il passato, i ricordi e i racconti dei suoi genitori e degli anziani.

Quando Elsa nacque, era una domenica del marzo 1926, scampoli di primavera: nuvoloni neri incombevano sul paesino arroccato, mentre le cime superiori della catena preappenninica erano ancora qua e là imbiancate di grappoli di neve.
Papà Eugenio,uscendo di casa per raggiungere il circolo Umberto I di cui era presidente, pensò che la ricorrenza annuale dell’emanazione dello statuto albertino forse non poteva stavolta essere dignitosamente festeggiata dal corteo dei soci con le autorità, le forze dell’ordine in alta uniforme e gli affezionati alle tradizioni, quel corteo che lo vedeva in prima fila con la bandiera e che ogni anno si snodava per le vie del “centro storico”, che poi era tutto il paese.
La moglie, incinta per la sesta volta, aveva accusato qualche segnale risolutivo il giorno precedente: questa creatura non era stata particolarmente desiderata, ma l’attesa era stata vissuta con grande trepidazione, emozione e una particolare tenerezza da entrambi i genitori ormai non più giovani, il cui figlio più grande aveva superato i venticinque anni.
Eugenio sulla porta spalancata del circolo attendeva e pensava al secolo inquieto e conflittuale mentre la gente che scorreva in piazza di fronte a lui, gli chiedeva la stessa cosa, e cioè di Emma la moglie.
Eugenio, di mestiere falegname, un monarchico-liberale, ed Emma la moglie, una santa donna, avevano educato i figli ai principi dell’onore e della libertà.
Avevano dovuto subire il fascismo: ciononostante i figli avrebbero dovuto comportarsi come gli altri perché non era giusto che fossero emarginati dal contesto della società sia pure fascista e clerico-fascista.
Quando ogni anno per quella ricorrenza, la prima domenica del mese, Eugenio si piazzava lì in attesa sulla soglia del circolo Umberto I, subito gli si avvicinava il locale segretario del fascio con quella sua aria saccente ed arrogante che gli ricordava puntualmente, quasi fosse un rito, che il regime aveva bisogno di gente schietta, di chiara fede senza riserve e tentennamenti, alludendo alla sua posizione troppo defilata e troppo poco entusiasta, anzi direi molto fredda per la causa fascista. Il falegname fingeva di ascoltarlo ma pensava piuttosto in cuor suo a questa grossa responsabilità di mettere al mondo i figli quando si erano superati i cinquant'anni per consegnarli ad un mondo che correva non si sa dove e dove sembravano prevalere gli arroganti, i disonesti, le persone senza scrupolo, gli arrivisti, quelli "senza coscienza".
Ma una volta che erano nati, ai figli, appena erano in grado di capire, Eugenio ricordava che nella sua casa povera c'era ancora una grande ricchezza: la libertà. Dopo aver ascoltato gli insegnamenti dei genitori, i figli erano liberi di orientare le loro scelte e quindi di gestire la loro vita quotidiana come meglio credevano. Ma attenzione! Vi erano dei valori di giustizia, moralità, onestà che non potevano essere violati: se questo fosse accaduto, la loro stessa famiglia li avrebbe respinti "perché con l'onore non si scherza! ". Eugenio credeva in Dio ma poco nei preti e nel loro sistema di potere: i figli andavano a scuola e al catechismo, frequentavano la parrocchia così come le altre strutture sociali del paese. Ad una figlia che aveva voluto iscriversi all'Azione Cattolica, aveva ricordato che così facendo si assumeva degli impegni verso regole tipiche degli ambienti notoriamente bigotti, dei baciapile e scrostamuri, per cui quel distintivo le sarebbe stato di impaccio qualora avesse voluto condividere con tutti gli altri giovani, balli, teatro ed altri leciti divertimenti. Ma dei figli sinora comunque non aveva avuto di che lamentarsi: erano giovani onesti e rispettati da tutti! Mentre qualche socio ed amico si stava pigramente avvicinando al circolo ed entrava dopo averlo caldamente salutato, tra i nuvoloni incombenti irruppero raggi decisi di un sole sdoganato che cambiò decisamente ogni infausta previsione circa le previste manifestazioni. Quando nel giro di qualche minuto,la luce si fece più intensa quasi abbagliante, Eugenio vide affacciarsi in fondo alla piazza, trafelata per la lunga corsa, Ada la cognata che lo chiamava: "Corri Eugenio, corri a casa: è nata, è nata...". Eugenio in un attimo dette disposizioni al suo principale collaboratore che si congratulò con lui, di proseguire con le cerimonie e scappò verso casa: era nata ELSA.

Questo l’esordio della “vita raccontata”, trasfigurata nella fantasia. Ma ben più pressanti nella mente di Elsa si riaffacciavano i suoi ricordi struggenti di bambina della 4^ elementare.
E’ il 1935: Elsa ascolta la lezione di storia della maestra Ottavia con interesse e grande partecipazione emotiva quando parla della pace vittoriosa (grande guerra 1915-18), cui erano seguiti anni tristissimi di sfrenata anarchia. Infatti c’erano stati uomini senza alcun sentimento di patria e dell’onore che avevano condotto una dissennata propaganda di odio contro la Religione, la Patria, la Monarchia, e poiché miravano a sovvertire tutti gli ordinamenti sociali, furono chiamati sovversivi. La loro opera distruttiva era stata facilitata dalle privazioni sofferte dal popolo durante i lunghi anni di guerra, le quali, anche dopo la pace, non potevano cessare d’un tratto, come per miracolo. Ma i sovversivi dissero che nulla di buono aveva ed avrebbe portato la guerra e che questa era stata un’inutile, colpevole strage. Presto si videro gli effetti della loro parola seminatrice di discordie: le città e le campagne furono desolate da sommosse e da uccisioni e quanti conservavano l’onore e la fede nei destini d’Italia, nelle glorie delle guerre, nella santità della Religione e la passione dell’amor di Patria, furono derisi, perseguitati, fatti bersaglio delle peggiori violenze ed anche la bandiera tricolore con lo stemma sabaudo, la sacra insegna della Patria, veniva insultata, strappata, trascinata nel fango. “Ma l’Italia fu salvata, perché così ha voluto la Provvidenza, da Benito Mussolini”. Il Duce che era stato fra i più fervidi sostenitori della guerra contro l’Austria ed aveva valorosamente combattuto come bersagliere soffrendo gravi ferite, si era dedicato con la stessa fede e con lo stesso coraggio, a costo della vita, alla santa missione di ridestare nel popolo italiano quelle virtù che venivano dal risorgimento fino alla grande guerra vittoriosa. Egli affrontò e vinse i sovversivi; riportò la disciplina laboriosa e l’orgoglio patriottico nella gente, restituì l’onore a coloro che avevano combattuto. Con la marcia su Roma e l’avvento del Governo fascista, tornò la concordia fra gli Italiani che furono grati al Duce non soltanto per il progresso della Nazione da lui procurato, ma anche per aver determinato un evento memorabile: la Conciliazione fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica romana del 1929.
“ Ed è così che – concludeva la maestra – l’Italia gode oggi di grande prestigio e rispetto fra le Nazioni che ammirano i nobili esempi e successi del Fascismo in tutti i campi grazie all’opera e alla genialità di Benito Mussolini”.
La maestra Ottavia aveva gli anni del secolo, viveva di passioni, per il suo Duce, per i suoi alunni, per il fascismo, per la vecchia madre inferma che l’attendeva a casa per darle ogni giorno una carezza con la mano tremante.
Elsa assimilava tutto e sognava….. sognava di diventare grande in fretta per poter corrispondere ai desideri del Duce per l’onore di essere una donna italiana.

Elsa ricordava poi di aver sentito alla radio la seguente frase del Duce: "Con l’Etiopia abbiamo pazientato quarant’anni: ora basta!” Era il 2 ottobre 1935: la radio in piazza amplificata invadeva il paese: il Duce annunciava l'inizio della guerra contro l’Etiopia. Pochi giorni dopo la maestra espose nell’aula la cartina dell' Africa orientale e le alunne puntarono una bandierina tricolore su Adua italiana. Poi la maestra dettò alle alunne il comunicato e il telegramma di esultanza e di compiacimento inviato dal Duce ai gloriosi combattenti. Evviva Adua italiana! Sul fronte nord avanzavano le truppe di Badoglio, mentre dal sud avanzava Graziani: la maestra annunciava giornalmente i progressi delle truppe italiane che avanzavano occupando le città ed Elsa con le sue compagne, fra cui Sandra e Ruth spostavano diligentemente le bandierine italiane sulla carta geografica, finché i nostri soldati non entrarono vittoriosamente in Addis Abeba . La notizia venne comunicata in una solenne adunata da Mussolini e trasmessa per radio. Elsa, Sandra e Ruth, accolsero la notizia in un delirante entusiasmo e insieme ai loro compagni di classe inneggiarono calorosamente ai Sovrani d’Italia, al Duce, ai valorosi Combattenti, ai prodi Condottieri, agli Eroi Caduti.
Era una grande amicizia quella fra Elsa, Sandra e Ruth, compagne di scuola e di giochi. Ma arriva il 1938 e con esso le leggi razziali, come un improvviso temporale in estate. Elsa, figlia di un monarchico liberale, e Sandra, figlia di un socialista azzittito dal regime, vedono partire in cerca di un asilo sicuro Ruth, figlia dell’orefice ebreo e non riescono a capire, soffrendone ambedue, la discriminazione che si è abbattuta nei confronti della comune amica Ruth… Elsa ricordava di aver chiesto al parroco del paese: “ Don Bruno, perché preghiamo per i “perfidi” Giudei ? I dodici apostoli non erano forse ebrei?”.
E’ il 10 giugno 1940: Elsa e Sandra, nonostante tutto, credono che ha ragione Mussolini quando afferma che basterà qualche migliaio di morti per sedersi al tavolo dei vincitori…
8 settembre 1943: Elsa e Sandra hanno 17 anni, ma adesso le loro strade si dividono: maturano due scelte diametralmente opposte per l’ onore che nascono da passioni a suo tempo condivise. Sandra raccoglie i bigliettini lasciati lungo i binari dai deportati chiusi nei carri bestiame, poi diventa staffetta partigiana e infine, vuol combattere, alla macchia. Nel luglio del 1944 in una città del norditalia tre ausiliarie della RSI, Elsa, Margherita ed Elvira si incontrano e condividono compiti (servizi speciali), cameratismo, amicizia, fino al giorno appena trascorso (25 aprile 1945).
Ripercorrendo la sua vita con questi ricordi, la tragica notte di Elsa rimase insonne.

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