mercoledì 13 aprile 2011

La Marcia di Radetzky (IV parte)

Tra Marsiglia e Mosca



Nessun ebreo dell’est , ha affermato Roth nell’opera Ebrei erranti , si reca a Berlino di propria volontà. Questa città si trova al di fuori della Germania , al di fuori dell’Europa , giudica Tunda nell’opera La fuga senza fine : Essa è la capitale di sé stessa (…) Non ha una cultura propria (…) , alcuna religione (…) , alcuna società (…) Tuttavia questa ha tutto ciò che dappertutto in tutte le altre città nasce solo dalla società (…) Berlino non conquistò mai la simpatia di Roth. C’erano tuttavia dei motivi plausibili per la sua decisione di trasferirsi là nell’estate del 1920. A Vienna le prospettive materiali non erano buone. A Berlino la stampa era in piena fioritura , inoltre la vita intellettuale e culturale erano piene di stimoli. I giovani talenti anelavano allora a recarsi/andare a Berlino. Cominciavano gli anni venti : in questa città si assistiva ad un irritante stare fianco a fianco di gravissimi problemi economici ed una fioritura culturale.

Roth cominciò con recensioni su film nel “ Nuovo Giornale Berlinese “ (a partire dal 1921 “ Il giornale delle ore 12 “ ) , un giornale da boulevard – che lui stesso aiutava a vendere , secondo le sue proprie parole l’unico redattore di giornale che dopo la messa in macchina del giornale metteva in vendita questo per la strada tutto da sé. Del tutto diversamente viene descritta la situazione dal testo di un annuncio che si è conservato nel taccuino berlinese di Roth : Giovane scrittore , direttore di un giornale berlinese , non è , al momento , in grado di pagare i prezzi esageratamente alti che vengono richiesti per una stanza di un certo livello. Egli cerca dunque di trovare alloggio dove i locatori preferiscono una persona che possa portare un’eventuale contropartita (?) attraverso dei valori mondani ad ospiti che minacciano alloggio obbligatorio/costretto. Colui che è in cerca di tale alloggio paga quanto richiesto puntualmente ed offre garanzia per forme di compagnia/rapporto senza pecca , ordine e spirito. Roth riuscì a stabilirsi a Berlino. Già presto si mise a scrivere per più giornali , tra gli altri per il liberale “Giornale Berlinese “ ben visto/altamente stimato. Nel Febbraio del 1921 si conquistò un posto nel feuilleton del “ Berliner Boersen-Courier “. L’8 Luglio 1922 uscì il suo primo lavoro nell’ “ Avanti “ , l’organo del partito socialdemocratico. Nel Settembre 1922 Roth osò disdire la collaborazione con il “ Boersen-Courier “. Non posso davvero più aver riguardo verso un pubblico borghese e rimanere il suo conversatore della domenica , se non voglio rinnegare giornalmente il mio socialismo , scrisse a Herbert Ihering , un collaboratore del giornale. Per il licenziamento c’erano anche dei motivi privati , richieste d’onorario non accettate e suscettibilità personali di una certa importanza. Tuttavia/nondimeno è da constatare un’ulteriore radicalizzazione politica. Roth , che aveva finora siglato i suoi lavori con “ J. R. “, se non erano usciti anonimi o con il nome per intero , si chiamò ora per l’ “Avanti “ “ Il Joseph rosso “. Continuò a scrivere lavori-feuilleton di natura molto diversa quanto a contenuto e forma , ma questi lavori sono compenetrati da un impegno uniforme/engagement costante. Cercò di mostrare gli interessi più diversi e la lotta di classe , e la sua presa di posizione si dirige in modo chiaro contro la reazione.

Nel frattempo Roth si era sposato. Per lettera e attraverso ripetuti viaggi a Vienna aveva mantenuto in piedi la relazione/il contatto con Friedl. Quando lei gli comunicò di non poter più a lungo opporre resistenza all’incalzare dei suoi genitori che volevano che lei avesse una relazione/unione con Hanns Margulies , lui si recò a Vienna questa volta per sollecitare una decisione. Il 5 Marzo 1922 egli fu unito in matrimonio con Friedl secondo il rito ortodosso.

Se ne andò con lei a Lemberg dai suoi parenti , poi di nuovo a Vienna. Quindi la portò a Berlino. La coppia fece una felice impressione , la bella viennese esercitava un grande effetto su tutti quelli che allora la vedevano. Si racconta che Roth amasse Friedl davvero tanto e che era geloso. Cercò di formarla secondo i propri desideri e sembra che essa finisse presto per estraniarsi.

Friedl divideva nella Berlin-Schoeneberg con Roth l’unico appartamento di cui lui abbia mai disposto , e lo accompagnava nei suoi viaggi. Quando la situazione economica in Germania peggiorò rapidamente a causa dell’inflazione , la coppia fece nuovamente ritorno a Vienna nel Giugno 1923. Nella tarda estate di quest’anno i Roth fecero per la prima volta un viaggio a Praga.

Dal Febbraio del 1923 Roth scriveva per il liberale “ Giornale Praghese “, probabilmente il miglior giornale di lingua tedesca stampato in Austria al di fuori di Vienna. Egli riferiva per il giornale principalmente dalla Germania. Perciò non ne uscì per Roth alcuna lunga permanenza a Praga. Tuttavia si è trattenuto sempre volentieri in questa città il cui clima intellettuale e culturale gli andava molto a genio , e là ha fatto nuove conoscenze e fatto conversazioni che si sono dimostrate importanti per lo sviluppo della sua immagine storica : per es. con Johannes Urzidil , con Max Brod , con Karl e Walter Tschuppik. A Praga venne di nuovo alla ribalta il tema della vita di Roth : la monarchia danubiana. In una lettera di raccomandazione di Roth per Pierre Bertaux del 1929 è presente una interessante formulazione sulla città sulla Moldava , lui sarebbe stato un amico , assetato di conoscenza e ben educato e abbastanza ironico per comprendere/capire il tono della nostra patria intellettuale Praga,

I primi romanzi di Roth , i “ romanzi da giornale “ (Sueltemeyer) La tela del ragno , Hotel Savoy e La ribellione , nascono tra il 1922 ed il 1924 in chiara connessione/collegamento con i suoi lavori giornalistici. L’inizio della creazione dei romanzi di Roth è tuttavia probabilmente da datare ancora prima : Dal 1920 ho lasciato a giacere degli appunti/schizzi , manoscritti lasciati a metà , che il mio stato di miseria mi ha impedito di completare. (A Zweig , 24. I. 1928) Il nome „ romanzi da giornale “ mira alla vicinanza tematica di questi romanzi ai lavori giornalistici dello stesso periodo/contemporanei , ma anche alla particolarità/caratteristica della forma , come la suddivisione in numerosi brevi capitoli/passaggi. I romanzi non sono nati su incarico di redazioni , ma sono stati tutti e tre prestampati su giornali.

Nella Potsdamer Strasse a Berlino – là aveva vissuto il vecchio Fontane fino alla sua morte avvenuta nel 1898 – Roth cominciò verso la fine dell’anno 1922 a scrivere la Tela del ragno. Siamo stati informati di ciò dal suo amico di allora – e quasi vicino -, il giornalista comunista Bruno Frei (cioè Benedikt Freistadt di Pressburg) , che Roth aveva osservato mentre lavorava nella stanza sul retro di una pasticceria ricevendo alla sua domanda la risposta laconica : Sto tentando qualcosa di diverso. Il 28 Dicembre 1922 Friedl scrive a Paula Gruebel di suo marito : “ Lavora a tutta lena al suo romanzo di cui tu avrai certo nel frattempo già sentito dalla signora Szajnocha. Perciò Muh è spesso anche lunatico e non è in grado di scrivere delle lettere. Il romanzo fu ultimato a Praga. Il 6 Ottobre 1923 il “ Giornale dei lavoratori “ di Vienna , organo ufficiale del partito socialista austriaco , portò l’annuncio della prestampa : “ Ai nostri lettori! Cominciamo domani , domenica , con la pubblicazione di un nuovo romanzo. Ha per titolo/porta il titolo “ La tela del ragno “ ed è nato per mano di un giovane autore tedesco , Joseph Roth. Il romanzo (…) descrive il terreno paludoso della reazione , l’imbarbarimento morale ed intellettuale da cui emergono come fioritura le croci uncinate. Sebbene la trama/azione del romanzo si svolga in Germania , questa è tuttavia valida dappertutto. Gli avvenimenti ed i fatti si ripetono in ogni luogo dove sono presenti le stesse condizioni. Siamo convinti che i nostri lettori seguiranno con complicità/interessamento il romanzo scritto in maniera che prende e che sgorga/nasce dal vivo sentimento di una compartecipazione al vissuto in prima persona.”
Si rivelò molto presto che non ci sarebbe stato bisogno di particolari indicazioni riguardo l’attualità del romanzo. Il 6 Novembre chiuse la prestampa. Tre giorni dopo fallì il colpo di stato tentato da Hitler e Ludendorff, entrambi menzionati per nome nel romanzo. Le debolezze artistiche del romanzo – che Roth in seguito non volle riconoscere – sono evidenti quanto la sua perspicacia per il suo tempo. Ovviamente Roth scrisse con molta fretta e lavorava ancora al testo quando la prestampa era già cominciata. L’esecuzione è discontinua, il carattere appare progettato e privo di forza. Tuttavia la Tela del Ragno resta comunque sempre un’interessante testimonianza di un’intelligenza politica quasi da chiaroveggente.
Il secondo romanzo di Roth, Hotel Savoy, seguì nel 1924; fu pubblicato nella prestampa nel giornale “Frankfurter Zeitung”. Già all’inizio del 1923 Roth era entrato in contatto con questo giornale, il più rinomato della Germania: Rudolf Geck, l’ex direttore della parte culturale del giornale, lo aveva assunto come collaboratore a Berlino. Nel 1923 Roth scrisse 14 articoli, nell’anno successivo addirittura 65. Hotel Savoy fu pubblicato dal 9 Febbraio al 16 Marzo sulle pagine di cultura.
Anche Hotel Savoy, come già prima la Tela del Ragno, analizza il radicale cambiamento sociale del dopoguerra. Il romanzo si svolge durante l’estate del 1919. Lo scenario è una grande città industriale dell’est, non denominata, probabilmente di proposito. (Si tratta di Lodz, nota a Roth dai tempi della guerra.) L’hotel di lusso malridotto è un luogo simbolico. Sui piani dell’hotel alloggiano ospiti molto diversi tra di loro. I prezzi per le camere costituiscono la gerarchia sociale. Davanti all’hotel Gabriel Dan, di ritorno dalla prigionia in Russia, è di nuovo alle porte d’Europa. Ospite dell’hotel, il reduce disoccupato incontra delle figure sradicate. Anche lui, che una volta voleva fare lo scrittore, si lascia andare. Dan è in grado di osservare, e capace di stabilire rapporti. Tuttavia non oltrepassa il suo bisogno di avventura e svago. Resta nell’hotel e parte solo quando l’albergo viene devastato da un incendio.
Dal Luglio all’ Agosto del 1924 seguì il romanzo La Ribellione,. Pubblicato nel giornale socialdemocratico “Avanti”. La storia si svolge nel periodo della monarchia a Vienna. Per la prima volta viene espresso interesse per il passato. Un dubbio religioso diventa decisivo.
Diversamente da Lohse e Dan, Pum, il protagonista del romanzo, non torna dopo il crollo, ma già durante la guerra. Non è un reduce, ma un invalido. La sua fiducia nell’ordine tradizionale, nel “sacrum imperium”, non è ancora scossa; chiama “pagani” quegli invalidi, che – al contrario di lui – hanno tirato delle conseguenze politiche. Come lo sono gli ebrei per Lohse, per Pum sono i “pagani” i capri espiatori. Quando finalmente crolla lo stato, non sarà in grado di cambiare il suo modo di pensare. Ora diventa lui il “pagano” della repubblica. Pum diventa, infrangendo le leggi della repubblica, una vittima della burocrazia che lui stesso inizialmente continuò ad apprezzare. In prigione comincia a capire, e questo lo conduce a dei primi dubbi su Dio. Dopo la scarcerazione tira a campare come addetto alle toilette in compagnia del suo pappagallo. Ora accusa Dio e richiede una suddivisione equa del Suo beneficio sulla terra. Il numero che contrassegnerà il suo cadavere , il 73, sarà lo stesso da lui portato come detenuto.
Nella primavera del 1925 Roth e Friedl vissero per la prima volta a Parigi. Ancora il fato sembrava essere loro bendisposto. Lui era contento di poter viziare sua moglie. Sarebbe forse potuta essere insensibile alle sue attenzioni? L’entusiasmo di Roth per Parigi – abbiamo già citato la sua prima lettera spedita da questa città - era senza limiti. Dimenticò di aver fatto questo viaggio anche per motivi politici. Aveva commentato l’elezione imminente di Hindenburg – che era ormai avvenuta – con le seguenti parole: Se viene eletto Hindenburg, parto, perché so che saranno le conseguenze di questa elezione.
Principalmente, però, era attratto da Parigi per sua predilezione personale. Dal momento in cui il romanziere in lui si era destato, aveva progettato questo viaggio. Ora ricominciò ad occuparsi di letteratura francese. Lesse Proust e Claudel, Jouhandeau e Gide. Con una grossa lode si pronunciò su Radiguet. (Questo singolo volume cancella mille volumi di poesie d’amore superflue e ipocrite, scrisse nel 1926 commentando la traduzione tedesca di “Le Diable au corps”. )
Ammirò Flaubert come stilista e narratore. Sembrava essersi identificato fortemente con Stendhal ed i suoi eroi. Il suo entusiasmo era così grande da aver contemplato l’idea di rimanere in Francia e di scrivere in lingua francese, nonostante non la padroneggiasse molto bene. La redazione del giornale “Frankfurter Zeitung” cercava di sdrammatizzare la situazione, facendo di Roth il suo corrispondente a Parigi e inviandolo in tarda estate in viaggio nella Francia meridionale.
Otto ore ci volevano per il viaggio da Parigi a Lione. In viaggio il paesaggio cambia all’improvviso. Dopo aver attraversato un tunnel ci si trova in un mondo molto più meridionale. Pendii ripidi, rocce spaccate, che svelano la loro natura di pietra, un verde più intenso, fumo morbido e azzurrino di un celeste più forte, più deciso. Alcune nuvole sostano inerti e massicce all’orizzonte, come se non fossero di foschia, ma di roccia scura. I profili sono più nitidi, l’aria è immobile, le sue onde non accarezzano più i corpi solidi. Ognuno ha i propri limiti definitivi. Niente è più sospeso tra qua e là. In tutte le cose c’è una sicurezza incondizionata, se come gli oggetti sapessero di più su di se stessi e sulla loro posizione nel mondo. Qui non ci sono più dubbi. Qui non si intuisce più. Si sa.
La serie di articoli Nella Francia di mezzodì che Roth pubblicò dall’8 Settembre al 4 Novembre 1925 sul giornale “Frankfurter Zeitung” è la descrizione di una felicità, come anche le lettere che arrivavano contemporaneamente dalla Francia meridionale, e l’opera postuma Le città bianche. Il suo viaggio lo portò a Lione, Vienne, Tournon, Avignone, Les Beaux, St. Rémy, Nîmes, Arles, Tarascon, Beaucaire e Marsiglia. Costituisce il culmine della sua prima attività da corrispondente in Francia, e in un certo senso anche quello della sua vita.
Quant’è meravigliosa una parola così logorata, se Lei fosse qui, capirebbe, che la devo usare. È meravigliosa nel senso più primitivo, dominante e bella – senza splendore. Il Rodano è un vecchio largo fiume dalla vivacità di un ruscello. Non sa che cosa significhi serio, è un fiume francese. Cammino per le strade di città e campagna – dappertutto il Romano subentra nel cattolicesimo e si può vedere ciò che non si deve scrivere, la continuità del paganesimo, che ha trovato nel cattolicesimo una forma non spuntata. – Gli uomini meravigliosi, aperti, dolci, con un’ironia sana, le donne molto tenere, sempre giovani, sempre nude, con molto sangue orientale, meticce, la borghesia più sommessa che in Germania, politicamente di sinistra, gli uomini vestiti quasi tanto bene quanto le donne a Parigi. Le donne ancora meglio, seta dappertutto, una stoffa fantastica, che può essere morbida, ruvida, semplice, splendida. Tutto potrebbe essere seta. (A Reifenberg da Lione, 25/07/1925)
Roth scrisse dalla Francia meridionale come solo l’amore sa scrivere – altre sue lettere simili non ci sono pervenute. Il suo incanto immediato e sensoriale fa sciogliere l’ironia solitamente onnipresente, come il sole la neve.
A Reifenberg da Avignone il 01/08/1925: Non sono […] sicuro, mentre scrivo questa lettera, se La raggiungerà. Ma anche se non dovesse arrivare spero che Lei senta che io ora sto – godendo? – delle più belle giornate della mia vita, godendo non si può dire, ma forse passando tremando, con nostalgia e piangendo, se non mi vergognassi. Non mi sarà mai possibile descrivere, che cosa sento qui. […] Tutto ciò che stiamo facendo in Germania è così sciocco! Così triste, così privo di senso! Venga ad Avignone e non darà mai più un mio articolo culturale in composizione.
Tuttavia il passato ritornava sempre tra le straordinarie impressioni del presente. Corrida di domenica, scritto a Nîmes, ne parla in modo involontario:
Il toro è nero, forte, attorno alla sua nuca si arriccia la pelliccia, la sua testa buona e larga brilla bluastra al sole, i suoi occhi sono grandi, perplessi, verde scuro e ancora pii in tutta questa ferocia. – Gli uomini che lo stuzzicano sono giovani, dalla pelle scura, stupidi. […] Perplesso, esausto, con la schiuma che gli scorre addosso il toro sta fermo, gli occhi volti verso la porta, dietro alla quale c’è la buona, calda, stalla odorante, la casa protettrice. Ahimè! La porta è chiusa e forse non si aprirà più! Gli uomini gridano e ridono, e sembra che il toro sappia già ora distinguere fra le grida stuzzicanti e la derisione meschina. Un disprezzo mostruoso, più grande dell’arena, riempie l’animo del toro. Ora sa che viene deriso. Ora è troppo debole per essere furioso. Ora vede la propria impotenza. Ora non è più un animale. Ora è l’incarnazione di tutti i martiri della storia mondiale in un corpo. Ora ha l’aspetto di un ebreo deriso, picchiato dall’est, ora quello di una vittima della sacra inquisizione ora quello di un gladiatore dilaniato, ora quello di una ragazza torturata davanti al consiglio medievale, e nel suo sguardo c’è un barlume di un dolore brillante, che ardeva nell’occhio del crocefisso. Il toro sta fermo e non spera più.

Prima dell’inizio del suo viaggio Roth aveva progettato un libro su Marsiglia (a Brentano, 14/06/1925) In viaggio amplificò il suo progetto e gli diede il titolo Le città bianche. In una lettera a Reifenberg del 18 Agosto 1925 parla del materiale che ha già raccolto. Il lavoro, però, sembra averlo portato ad una crisi; il libro non venne pubblicato ai suoi tempi. Se Roth considerava pronto per la stampa il dattiloscritto tramandato (non datato, da lui corretto a mano) non si sa. La prima pubblicazione del testo fu nella edizione con tutte le opere del 1956 sotto il titolo erroneo e fallace “Nella Francia di mezzodì”, il che significa che venne scambiato con la serie di articoli, che era stata pubblicata sul giornale “Frankfurter Zeitung” (e la cui ristampa non avvenne nel 1956 per questo motivo). Solo con l’edizione del 1975/76 si ebbe il testo con il titolo corretto.
Le città bianche inizia con uno sguardo retrospettivo dell’io narrante sul proprio sviluppo: Un giorno divenni giornalista per disperazione […] Non appartenevo a quella generazione di persone che aprono e chiudono la loro pubertà con versi. Non appartenevo ancora alla generazione più giovane, che matura sessualmente attraverso il calcio, lo sciare e il pugilato. […] il mio talento da poeta era limitato a delle formulazioni precise in un diario. Questo io narrante è uno dei tanti prodotti della fantasia di Roth creati dal suo sé affamato di figure. Evidentemente non si identifica con l’autore, che ha scritto soprattutto versi nella sua adolescenza, ma divide tante esperienze con esso. L’infanzia di entrambi si svolge grigia in città grigie, tutti e due sono a conoscenza della sofferenza per la propria intellettualità, che ha bisogno di essere nascosta. Da sempre mi manca il cuore. Da quando sono in grado di pensare penso senza pietà. Tutti e due si collocano nel mezzo tra gli stili di vita di due generazioni, quella dell’anteguerra e quella del dopoguerra, ed entrambi sono bramosi. Quando avevo trent’anni potevo finalmente vedere le città bianche che avevo sognato da fanciullo.
Il titolo Le città bianche fa intravedere il carattere dell’esperienza di Roth in Francia meridionale: è felicità degli occhi, mistica della luce, liberazione dell’anima. Ma alla fine sono l’Oriente e le tenebre, dove Roth si sente al sicuro. Mia moglie sta a letto con la febbre, scrive il 22 Agosto 1925 da Marsiglia. Evidentemente un effetto del clima. Oggi vado al vecchio porto per la notte. Lì è il mondo dove mi sento a casa. I miei progenitori da parte di madre vivono lì. Tutti parenti. Ogni commerciante di cipolle è uno zio.

Roth tornò a Parigi. Oltre alla sua corrispondenza continuò a scrivere – quanta diligenza e virtuosità! – prosa narrativa: ancora nel 1925 vennero pubblicati i racconti Aprile. La storia di un amore e il piccolo romanzo Lo specchio cieco. La lettera di Pasqua di Roth a Reifenberg del 29 Marzo 1926 venne pubblicata nel giornale. Ma una delusione dolorosa già attendeva l’autore: il 1 Maggio 1926 la redazione a Francoforte diede il posto di Parigi a Friedrich Sieburg. In un primo momento venne offerto in compenso a Roth un posto in Italia; il “problema Mussolini fascismo è internazionalmente attuale”, scrisse Reifenberg il 7 Aprile a Roth ; ma questi rifiutò. Ora la redazione gli fece diverse offerte, alle quali Roth rispose il 22 Aprile: Di tutte le Vostre proposte: Mosca, Italia, Spagna solo Mosca può essere un compenso per Parigi. […] Voi comprenderete, che devo mantenere la mia reputazione come giornalista . […] Solo una corrispondenza r u s s a può salvare la mia reputazione. Quando la redazione esitò di nuovo e gli offrì un viaggio in America alle fine di Maggio, Roth scrisse il 2 Giugno, evidentemente per dissipare le preoccupazioni: Tuttavia non voglio che Voi, anche se non ve la prendete con me, pensiate di me, che tendo all’apprezzamento dei successi dubbi della rivoluzione russa per il mio specifico talento di trattare determinate istituzioni ed usanze del mondo borghese con ironia. Nella stessa lettera parla anche del fatto che il suo rapporto con il cattolicesimo e con la chiesa è sbalorditivamente diverso da come si potesse pensare. Già questa circostanza mi garantisce una certa distanza dalle cose in Russia. Finalmente venne fissata la tarda estate come momento di viaggio.
Nei mesi prima del viaggio Roth scrisse gran parte di uno dei suo saggi più belli: Ebrei erranti. Scrisse solo un paragrafo in Unione Sovietica, La situazione degli ebrei nella Russia sovietica e lo aggiunse successivamente.
Nelle prime frasi della prefazione Roth chiarisce la sua intenzione e la prospettiva della sua descrizione: Questo libro rinuncia agli applausi e l’apprezzamento, ma anche all’obiezione e addirittura alla critica di coloro che disprezzano, odiano e perseguitano gli ebrei orientali. Non si rivolge a quegli europei occidentali che pretendono il diritto di creare barzellette cattive su pidocchi rumeni, cimici della Galizia e pulci russe dal fatto che sono cresciuti con ascensore e water. Questo libro rinuncia ai lettori “obiettivi”, che sbirciano con una benevolenza meschina e acida dalle torri oscillanti della civilizzazione occidentale sul vicino est e i suoi abitanti; compatire la canalizzazione scarsa per pura umanità e chiudere poveri emigranti in barracche per paura di un contagio, dove la soluzione di un problema sociale viene lasciata alla morte di massa. Questo libro non vuole essere letto da coloro che negano i propri padri e progenitori che sono scampati alla barracca per un puro caso. Questo libro non è stato scritto per lettori, che se la prenderebbero con l’autore perché tratta l’oggetto della sua descrizione con amore invece che con “obiettività scientifica”, che si può anche chiamare noia. […] L’autore cova l’assurda speranza, che ci siano ancora dei lettori da cui non c’è bisogno di difendere gli ebrei dell’est; lettori, che hanno stima per il dolore, la grandezza umana e la sporcizia, che accompagna dappertutto la vita […], che sentono che avrebbero da ricevere tanto dall’est, e che forse sanno che dalla Galizia, dalla Russia, dalla Lituania, dalla Romania vengono grandi uomini con grandi idee […]
Il viaggio attraverso l’Unione Sovietica divenne nella vita di Roth un’ulteriore esperienza importante, che riconobbe con enfasi. Percorse grandi distanze – sul Volga anche in nave -, vide Leningrado e Mosca, Astrakhan e Baku. In un intervista data a un giornalista russo si pronunciò entusiasta sul lavoro di costituzione fatto nell’Unione Sovietica. La serie di articoli pubblicati sul “Frankfurter Zeitung” invece assertisce sulla critica che aveva già pronunciato, prima di intraprendere il viaggio. Walter Benjamin, che ha scritto nel suo “Diario di Mosca” di un incontro con Roth, non riconosce la sua posizione, se erroneamente presume che Roth sia venuto in Russia come quasi convinto comunista.

Via Berlino e Francoforte Roth tornò a Parigi e lì terminò nel Marzo 1927 il romanzo Fuga senza Fine, che era ideato in Russia. Dopo che questo “rapporto” era stato pubblicato lo stesso anno da Kurt Wolff a Monaco, Roth venne spesso citato nelle discussioni letterarie come autore influente sulle tendenze della corrente pittorica e letteraria “Neue Sachlichkeit”. Tuttavia era un testimone assai discutibile per la letteratura di resoconto a cui si aspirava. (C’è da aggiungere che la corrente non mantenne ciò che aveva promesso; non era “né nuova né oggettiva”, come disse Hans Mayer.) Trommler, che indagò sul fatto, mostra come Roth procedeva letterariamente, anche e soprattutto nei casi in cui voleva trasmettere un’illusione di autenticità. Il polacco contava le sue parole come perle, una barba nera lo obbligava a tacere, così comincia un paragrafo proprio all’inizio di Fuga senza Fine. Un critico, W. E. Süskind, già nel 1931 osservò a proposito; “Questa è poesia forte; è uno stile rigido con tendenza al sublime.”
In realtà, nella sua prefazione Roth aveva chiamato “antica” l’espressione “poetare”, tuttavia non l’ha sostituita con una documentazione oggettiva, ma con l’osservato. (Secondo Rudolf Leonhard questa prefazione non fu scritta a Parigi – come induce a pensare la datazione -, ma in Albania, e Roth la scrisse dopo la seconda o terza bottiglia di vino.) Comunque, per Roth non si escludevano a vicenda l’osservazione e la fantasia artistica – anzi, solo attraverso ciò che l’artista aggiunge, la realità può essere trasmessa, secondo il suo ideale, attraverso la creazione. In un articolo Basta con la “Neue Sachlichkeit” del 1930 Roth si oppone appassionatamente al malinteso:
Mai prima l’ignoranza materiale degli scrittori fu così grande, e l’autenticità documentaria del descritto così enfatizzata. Mai prima la quantità, l’inutilità, la vacuità delle pubblicazioni fu più evidente e mai più grande la credulità […] Mai prima è stato scritto così male in lingua tedesca come ora. E mai prima così diffusa l’opinione che si scriva sempre meglio in Germania. Non si scrive bene, si scrive in modo semplice. Viene considerato “immediato”. Mai prima si mentiva così tanto in lingua tedesca come ora. Ma una bugia su due è intitolata: fotografia, davanti a cui tacciono tutte le obiezioni. Si dice: documento, e tutti quanti rabbrividiscono per profondo rispetto come una volta davanti alla parola poesia, l’autore sostiene di essere stato presente. Gli si crede: primo: come lui fosse davvero stato presente; secondo: come se avesse alcuna importanza se era o non veramente presente.
“La nobiltà spirituale, tipo Stendhal, combina sensibilità con cinismo”, scrisse Heinrich Mann. Se si inserisce il nome di Roth si capisce subito perché Roth non era in grado di scrivere letterature di resoconto. Come Stendhal, l’autore di “Rosso e nero. Cronica del 1830”, Roth si sentiva spinto alla rappresentazione di un epoca. La casa editrice pensa, che Roth sia un piacevole conversatore di secondaria importanza […] Questo è oggetivamente sbagliato. Non faccio “glosse spiritose”. D i p i n g o l a f a c c i a d e l t e m p o. […] Sono un giornalista, non un corrispondente inviato, sono uno scrittore, non un editorialista, aveva scritto già nel 1926 a Reifenberg. Tuttavia l’autenticità viene raggiunta solo attraverso la trasmissione soggettiva. Con me tutto diventa personale.
Un raccolto letterario dell’ispirazione guadagnata sul viaggio in Russia è anche il romanzo frammentario Il Profeta Muto, che venne pubblicato solo nel 1966 dal lascito e che spesso viene scambiato per un frammento di un romanzo su Trotzki. Infatti si tratta della storia di un reduce.
Anche Friedrich Kargan possiede dei tratti di Roth, ma è nato – cambiamento caratteristico! – in Russia. (Anche tra i racconti di Roth delle proprie origini ora si mischia questo elemento: un genitore proviene ora dalla Russia.) Il Profeta Muto era progettato come romanzo politico. Come tale è la storia della disillusione di un intellettuale. L’edizione di Werner Lengning è il tentativo di una ricostruzione, messa insieme da tre versioni.
Alla questione dei reduci, che spesso occupò le riflessioni di Roth, alla fine degli anni 20 si aggiunse nei suoi romanzi la questione delle generazioni. Il suo nuovo romanzo è meraviglioso, scrive Roth il 17 Agosto 1927 a Reifenberg. Non ho trovato la forza o la sfacciataggine di scrivere un Romanzo da Giornale a Pezzi . Piuttosto ne ho scritto uno che si intitola semplicemente Zipper e suo Padre.

Il piccolo romanzo – dedicato a Benno Reifenberg – venne pubblicato nel 1928, sempre da Kurt Wolff. Rappresenta Roth sulla strada verso l’apice della sua arte da romanziere. Un critico contemporaneo scrive in una recensione collettiva: “Ciò che voleva Werfel, è riuscito a fare Roth: la creazione di persone passate. La creazione dell’ uomo di transito e del dopoguerra. La creazione del mondo borghese prima e nella guerra. […] Roth sa ciò che vuole. Non è un chiacchierone – piuttosto tace. […] Quanto vantaggio nell’espressione artistica sulla larghezza chiacchierona di Werfel, sulla leziosa artificiosità di Edschmid e tutti gli altri artisti estetici della lingua, che fanno ‘Poesia’ a scapito della verità […]” Ripetutamente sono stati indicati i collegamenti tra il romanzo di Roth e la novella di Grillparzer “Il Povero Suonatore”.
Nel 1929 seguì il romanzo Destra e Sinistra, dove Roth ritornò un’altra volta a la generazione delle associazioni segrete tedesche, ai separatisti, agli assassini di Rathenau (a Félix Bertaux, il 5 Gennaio 1928). In Autostroncatura, pubblicato nella rivista “Die literarische Welt”, è stato il suo proprio critico per questo romanzo. Nelle ore tranquille, scrisse alla fine, lo invade l’assurda illusione di essere il piccolo Remarque della Germania.

Al grande viaggio nell’Unione Sovietica si aggiungono nei due anni successivi viaggi più piccoli di reportage. Dal Maggio al Luglio 1927 Roth viaggia attraverso il paese del presidente Ahmed Zogu e ne parla nella serie Viaggio in Albania. Descrive i problemi del paese, e ne approfitta per parlare anche della vicina Jugoslavia, all’epoca ancora chiamata Sudslavia, dove vivono molti albanesi. Scopre problemi molto familiari, che sono rimasti inalteratamente attuali: Perché per quanto riguarda la politica delle nazionalità e la burocrazia, lo stato sudslavo è i l s u c c e s s o r e d e l l a v e c c h i a m o n a r c h i a s u i B a l c a n i. Accanto a dei reportage più analitici se ne trovano alcuni esclusivamente descrittivi. Sui Balcani, una volta turchi, il poeta di giornale Roth una volta tanto non è di umore melanconico come nelle estensioni sulla Podolia, non è commosso dallo splendore del Sud come nella Provenza; si potrebbe quasi dire: Roth sta diventando esuberante. Gli viene da ridere quando descrive l’udienza del presidente Ahmed Zogu e la capitale Tirana:
Gli abitanti di Tirana amano fiori e musica. Si vedono questi uomini con rose in bocca. Usano questo come asola. – Un’altra parte della popolazione si dedica ai fiati. Per l’esercito albanese sono stati reclutati dei suonatori di strumenti a fiato, cornisti per la patria. Animano la marcia dei soldati, determinano e limitano la loro giornata con diana e ritirata. – Il presidente dispone di una banda personale. Il maestro di cappella porta un pince-nez e proviene da Trieste. I suonatori di fiati vengono da Karca, il Sud del paese cantarino, e dalla Cecoslovacchia, che una volta, quando era ancora il Regno di Boemia, procurava all’esercito imperiale e regio i più meravigliosi sergenti di musica. Ogni suonatore riceve quindici napoleoni al mese. In cambio deve comprarsi la bella divisa nera ornata di oro con i propri soldi. Sul berretto ogni suonatore porta il simbolo preferito della musica: una lira dorata. – Alle sette di mattina, proprio mentre suonano i soldati, i musicisti si alzano come le allodole e provano frammenti di marcie e ouverture in mezzo alla strada principale. Gli abitanti hanno chiesto al magistrato con sei petizioni di spostare le prove di musica su un prato fuori città. Ma sei volte hanno dimenticato di aggiungere degli argomenti alle richieste. Niente funziona senza argomenti. – Coloro che non fanno parte né dell’esercito né della cappella, amano il suono tenero del mandolino. Spesso sono stati in America. Lì si sono fatti impiombare con oro e hanno comprato strumenti a pizzico. Cantano la canzone delle banane, per far capire che hanno visto il grande mondo, forse anche come espressione della loro dolorosa nostalgia per l’America, che avevano lasciato per sempre per nostalgia, questa volta per Tirana. Il loro cuore galleggia sull’oceano, ma la merce, che consiste in pettini, specchi, carta da lettere, si trova a Tirana. […] Per ore stanno seduti al sole davanti al loro negozio. È molto tranquillo. Tirana è una città tranquilla, a prescindere del suo talento per la musica. Se non si sentono suoni di fiati, si sentono cantare galli, i martelli dei fabbri fellah dal bazar e i regolari richiami dai minareti. Il sole grava sulla polvere della strada. […]
Le immagini del viaggio di Roth in Albania sembrano essere ancora più interessanti quando si leggono i “Ricordi su Joseph Roth” di C. Z. Kloetzel, un giornalista tedesco, che l’aveva conosciuto a Skutari. Roth non aveva ancora mandato un rapporto e spiegò a Kloetzel in risposta alla sua richiesta preoccupata: Si ricordi, Kloetzel: presso il “Frankfurter Zeitung” non si scrive per il lettore, bensì per i posteri! Poco dopo arrivò un telegramma, e Kloetzel chiese: “I posteri sollecitano?” In realtà era la redazione che sollecitava. Roth si ritirò con una brocca gigantesca di Raki e scrisse dal pomeriggio alle quattro fino all’alba tre forbiti articoli culturali. Svuotò la brocca. Andò a dormire senza barcollare.
Da metà Maggio al Luglio del 1928 fece un viaggio di reportage attraverso la Polonia, in Ottobre e Novembre uno attraverso l’Italia. A questi viaggi all’estero si aggiunse nell’autunno del 1927 un viaggio attraverso il territorio della Saar dal quale risultarono una serie di articoli Lettere dalla Germania, firmato da Cuneus.
L’evento incisivo dell’anno 1928 nella vita di Roth è costituito dalla malattia mentale di Friedl. Si era preannunciata già nel 1926. (Friedl regalò al postino 1000 marchi!!) Un’anno dopo Roth venne avvertito da un vescovo francese, al quale Friedl in uno scompartimento di treno si era presentata come nativa contessa Dönhoff. Nella primavera del 1928 capirono tutti gli interessati che Friedl era mentalmente malata e che cominciava a lasciarsi andare. Una cura privata per la quale Roth si impegnava era possibile solo a tempo determinato. I medici, e per primo l’amico medico di Roth, Ernst Wollheim, le diagnosticarono schizofrenia. Nel 1929 Friedl fu portata alla clinica neurologica Westend a Berlino, nel 1930 in Austria, dove visse fino al Luglio del 1940 in diverse case di cura e ricoveri. Alla fine fu ammazzata dai nazisti come malata di mente.
Non solo la situazione economica di Roth – fu presto sovraccarico di debiti – peggiorò in modo decisivo con la malattia di Friedl. Roth perse anche il suo equilibrio mentale. Sensi di colpa erano la causa, ma anche l’alcool. Sembra che Roth all’epoca fece proprie le accuse che Friedl gli rivolgeva. Evidentemente lui l’aveva offesa con la sua gelosia, ma anche con la sua infedeltà, e il suo intelletto crudele era stato un peso per lei. Ci dobbiamo accontentare di queste osservazioni e il riferimento alla biografia di Bronsen. Non è possibile descrivere quest’argomento spinoso nel quadro di questo libro senza accorgimenti inammissibili, anche perché mancano importanti informazioni o esse si contraddicono.
Nel 1929 Roth strinse un rapporto con la giovane attrice ebrea Sybil Rares, proveniente dalla Bukovina, che si ruppe dopo alcuni mesi. Nei ricordi della donna si trova la frase: “D’altronde non credo che una donna più giovane lo abbia mai influenzato, o che si può penetrare la sua natura da questa parte.”
Nell’estate del 1929 Roth entrò in contatto con il giornale “Münchner Neueste Nachrichten”, un giornale, come facilmente si può dedurre, cristiano-conservativo, dal 1881 nella casa editrice Knorr & Hirth e predecessore dell’odierno “Süddeutsche Zeitung”. All’epoca il giornale era maschilista e reazionario. Senza dubbio Roth e questo giornale non andavano molto d’accordo, ma Roth aveva bisogno di soldi. Il 27 Febbraio del 1929 scrisse da Parigi a Stefan Zweig: Sto lavorando sotto pressione per un solo motivo: quello economico. Perché devo riuscire a ricavare il minimo per la mia esistenza senza dover scrivere regolarmente degli articoli, che minerebbero la mia salute. Un mese dopo riferisce a Zweig: Nel frattempo sono stato invitato dal “Münchner Neueste Nachrichten”, evidentemente intendono farmi una proposta di collaborazione. Ho talmente pochi soldi e odio tanto tutti i giornali nella stessa maniera, che non so ancora se dovrei accettare. Il 24 Maggio annuncia dopo trattative sciocche a Francoforte il definitivo (per il quale si deve ancora convincere a trovare il coraggio): Allora accetto la proposta dei Monaci. Spero in un anno di tranquillità e di buona produttività. La conseguenza è la rottura temporanea con il giornale “Frankfurter Zeitung”, la cui redazione continua ad insistere di pubblicare Roth o in esclusiva o per niente, e non è disposta ad arrendersi alla “furia di Pflaum” (l’editore del “Münchner Neueste Nachrichten”). Non solo i colleghi del “Frankfurter Zeitung”, ma anche quelli degli altri giornali pronunciarono la loro disapprovazione e seguirono alcuni attacchi pubblici. Così scrisse F. C. Weiskopf a proposito del passaggio di Roth al giornale “Berlin am Morgen”, sotto il titolo “Rosso e nero”: “[…] Il giornale stranazionalista di Monaco ha acquistato il grande reporter, il brillante stilista, lo scrittore di rango Joseph Roth semplicemente a modo di asta, come si aquista un lotto di carta o inchiostro nero da stampa …- Joseph Roth, il più accanito nemico del maschilismo nazionale di tendenza prussiana e bavarese presso il “Münchner Neueste Nachrichten”!” Così come Weiskopf accenna ironicamente al famoso titolo del romanzo di Stendhal, il titolo di glossa nel giornale berlinese “Welt am Abend” accenna con sarcasmo tagliente ad un titolo di romanzo di Roth: “Merce scrittore. Ora la fuga è terminata”; e ancora: “Ci si chiede: com’è possibile, proprio presso uno dei più limitati giornali, che fa un’osservanza tipica di Monaco e nel più rigido nazionalismo, dietro al quale però stanno tanti soldi. […] Joseph Roth, che non è solo un ottimo giornalista, ma anche uno scrittore di romanzi di gran lunga al di sopra della media, è stato proprio “comprato via” al “Frankfurter”. – Riceverà un onorario mensile di 2000 marchi e dovrà – scrivere due articoli. Quindi in realtà un pagamento per non scrivere […]”
Il 18 Agosto 1929 il primo articolo culturale di Roth venne pubblicato sul “Münchner Neueste Nachrichten”; fino al 1 Marzo 1930 seguono circa 30 articoli, dei quali alcuni sono stati ristampati nell’edizione delle opere del 1975/76. Roth scrisse per il giornale di Monaco come sempre con uno spirito superiore sugli argomenti più diversi: I manichini, La nuova lavatrice, Vecchie e nuove fotografie, Un pugile ritorna a casa, L’uomo che riceve gli schiaffi, Il mago, La sopravvalutazione dei ragazzi sono alcuni dei titoli. Scegliamo alcune frasi da Recensione di libri per la autoironia con cui Roth tratta l’attività giornalistica: I libri arrivano a quintali nelle redazioni dei giornali e vengono accatastati in una stanza poco usata. Così devono essere stati i magazzini di cadaveri ai tempi della peste. I libri cominciano ad ammuffire, ancora prima di essere tagliati o aperti, belli, ben rilegati, solidi – cadaveri. Con il passar del tempo prendono polvere estranea e sviluppano quella propria. Niente da fare: ogni giorno porta nuovi libri. – Quasi tutti i giorni arrivano anche recensori o persone giovani e più anziane che sentono la vocazione per recensire libri. Di tutte le possibilità di guadagnare soldi dai giornali, la recensione di libri sembra essere quella più redditizia. Per un “reportage”: ci vuole fantasia. Per venire a sapere delle notizie politiche di rilievo: ci vogliono contatti, abilità e fortuna. La poesia, per la cui produzione non servono né contatti né fortuna e che si porta sempre con se viene pubblicata solo a Pasqua e a Natale. Gli articoli culturali sono superflui e normalmente già consegnati anticipatamente a collaboratori più stabili. Da trent’anni gli editoriali vengono scritti da uomini di fama, la cui immortalità è garantita. Anche i recensori di teatro rimangono al proprio posto e vivono a lungo. Solo le recensioni di libri sono mortali, intercambiabili e non retribuite con una fissa.
E così va avanti, tutto è leggerezza, ironia ed eleganza. Ma se si debba attribuire un’importanza politica misurabile ai pochi articoli culturali che ha scritto per il “Münchner Neueste Nachrichten”, come ha fatto l’autore spinto dai suoi critici, è abbastanza dubbioso. A Benno Reifenberg: In nessun caso mi aspetto da Lei che mi procuri dei motivi morali per il mio ritiro dal F.Z. Non ne ho proprio bisogno. “Morale” è tutto ciò che faccio. [...] È una cosa sicura che il “radicalismo”, quindi l’onestà del F.Z., era per gran parte la mia onestà e che il F.Z. perde questa parte. Non è così, come mi diventa chiaro solo ora tramite diverse notizie sui giornali, che un collaboratore passa da un giornale radicale ad uno reazionario, ma la coscienza, che un p o t e r e radicale ha sciolto la sua alleanza con un altro, è talmente forte, che si pensa di dover costatare nel (misero) pubblico da questo fatto addirittura una “sterzata a sinistra del Münchner Neueste Nachrichten”. Mai prima un autore di articoli culturali e ciò che faceva hanno avuto così tanta importanza sintomatica. Lei stesso sa benissimo, che lo splendore del mio radicalismo abbellisce e addirittura legittima tutto il Frankfurter Zeitung. Quindi, se lo lascio, non è un caso in cui qualcuno dovrebbe cercare dopo o contemporaneamente “motivi morali”. Questo è un disastro. Io stesso sono identificato con il radicalismo; e là dove scrive Joseph Roth tutto diventa radicale, sia nel gabinetto sia nel parlamento, così come diventa fresco dappertutto dove soffia un vento. Quindi, io rimango Joseph Roth finché scrivo una singola riga. Il Frankfurter Zeitung, però, cambia appena sente la mancanza delle mie righe.
Il problema della tentazione di uno scrittore, sia per lusinga sia con violenza da parte dei potenti, soprattutto anche dei potenti della stampa, è vecchio; né Heine né Fontane ne sono sfuggiti. Probabilmente ha ragione Roth: mai l’effetto di un’opera letteraria è stato seriamente limitato alla lunga da una collaborazione sia reale sia presunta. L’opera diventa indipendente. Ma con questo il problema non è ancora risolto. Lo scrittore che vuole veramente ottenere un effetto nel suo tempo, soprattutto colui che non vuole ottenere solo un effetto estetico, ma anche sociale, ha bisogno sia di mezzi letterari sia di integrità personale. Se perde la sua credibilità non nuoce solo a se stesso.
Probabilmente Roth era ancora troppo viziato all’epoca e già troppo tempestato per poter percepire l’arroganza presuntuosa della sua lettera. Sopravvalutava se stesso e in questo momento forse anche il potere della letteratura. Una tale sopravvalutazione è la vera tentazione di un letterato, perché la fiducia in questo potere costituisce allo stesso tempo la sua forza. Così il suo sguardo si oscura per la realtà. La collettività non ha la stessa considerazione di lui, che divide la sopravvalutazione della letteratura semmai con altri letterati, che poi, come lui, soccombono al vero potere.
Anche alla tragedia morale del singolo segue il dramma satiresco. Non erano solo accordati articoli culturali al fantastico prezzo di 1000 marchi tra la redazione del “Münchner Neueste Nachrichten” e Roth, ma anche l’anticipazione di un romanzo a 20.000 marchi. Nel Marzo del 1930 Roth mandò il manoscritto. Per sbaglio era allegato un foglio sul quale aveva scritto presumibilmente in stato di ubriachezza dozzine di volte: Scrivere romanzo entro tre giorni! e Devo scrivere romanzo entro tre giorni! In conseguenza di ciò la redazione respinse il manoscritto con la motivazione che Roth non poteva scrivere entro tre giorni un romanzo che corrispondeva al livello dei romanzi a puntate sul “Münchner Neueste Nachrichten”.

Nell’ Agosto del 1929 Roth incontrò in una casa di campagna sul lago Stölpchensee presso Berlino Andrea Manga Bell, che nel 1931 diventò sua compagna per cinque anni. Bronsen ha ricostruito da interviste alcuni dettagli su quest’incontro, dove erano presenti anche Lotte Israel, l’amica di Ernst Toller, e Marita Hasenclever, la sorella di Walter Hasenclever. Andrea Manga Bell: “In realtà Roth era brutto, ma attraeva fortemente le donne, e c’era sempre qualcuna che si innamorava di lui e che gli stava dietro. Non ho mai conosciuto un altro uomo con un’attrazione sessuale forte come la sua. Si muoveva lentamente come una lumaca, tutto in lui sembrava rallentato, mai fece intravedere un movimento spontaneo, era in agguato, ogni espressione era avveduta. Ma poteva essere tenero come nessun’altro ed io ero pazzamente innamorata di lui.” Roth da sua parte desiderava di poter riparare i torti che avevo fatto a tante con questa . ( A Gubler, l’8 Ottobre 1931)
Andrea Manga Bell era la figlia di un cubano di colore e una amburghese ugonotta. Suo padre era venuto in Germania per studiare musica; si era distinto come pianista e compositore. Andrea nacque nel 1900 ad Amburgo. A diciott’anni sposò Alexandre Manga Bell, “le Prince de Douala et Bonanyo”, e si trasferirono a Versailles. Alexandre era il figlio di un principe africano che era stato giustiziato dai tedeschi nella loro colonia di un tempo il Camerun: di tanto in tanto era stato educato alla corte imperiale di Berlino. Ad Amburgo aveva studiato medicina. Oramai il Camerun era passato dalla dominazione tedesca a quella degli alleati, soprattutto francese. La mulatta che si sentiva negra, diede alla luce un figlio, José Manuel, e una figlia, Andrea Tüke, ma non lo seguì a Duala, quando lui decise di tornarci. Da circa il 1925 viveva a Berlino come redattrice di una rivista d’arte. Così era in grado di mantenere se stessa e i suoi figli.
Da suo marito non ebbe più alcun aiuto finanziario. Quando andò a vivere con Roth e lo seguì a Parigi, soprattutto però dopo l’avvento al potere da parte dei nazisti, ebbero sempre problemi economici. Era prevalentemente Roth che doveva assumersi le spese del mantenimento. Prese molto sul serio questo impegno, ma non era in grado di fare economia. Buttava giù per Andrea lettera piene di fantasia al padre dei bambini, che possedeva delle piantagioni in Camerun, e chiese sostegno finanziario. Lui stesso era preoccupato come un padre. Nelle lettere a Blanche Gidon, la traduttrice e, come si sarebbe svelato più forte di anno in anno, servizievole amica, scrisse alternativamente del destino del grande romanzo (La Marcia di Radetzky) e di quello dei due pupilli: Allora: sarei favorevole al fatto che il piccolo viva in una casa francese per due mesi p r i m a di frequentare qualsiasi scuola. - Se invece deve frequentare il liceo, la domanda economica si pone in modo diverso:
le tasse scolastiche? – oppure è gratis?
il prezzo del biglietto?
Quindi la signora Manga Bell dovrebbe spendere circa 12-1500 franchi al mese per il bambino.
(Sono uno scarso matematico! Ma mi sembra pensato correttamente!?) Sarebbero da aggiungere i costi per i vestiti e la paghetta! […] E c’è anche il secondo figlio della signora Manga Bell, una bambina, ad Amburgo. […] Io stesso sono molto preoccupato per il destino dei bambini. Li amo come se fossero i miei. – Li adotterei anche, se facendolo non li derubassi del loro padre naturale, molto più potente.
Roth era veramente uno scarso matematico. Lo stato di smarrimento del sottotenente Trotta nella Marcia di Radetzky è il suo: […] non riuscì mai a ricordarsi delle singole spese e spesso non gli tornarono le più semplici addizioni. […] I suoi piccoli taccuini avrebbero potuto testimoniare i suoi sconsolati sforzi di tenere ordine. Infinite colonne di cifre coprivano tutte le pagine. Però si confondevano e si mescolavano, così che lui li perdeva dalle mani, si addizionavano da sole e lo ingannavano con somme false, sfuggivano a galoppo davanti ai suoi occhi vedenti […] Neanche gli interessi li capiva.
Concordemente viene riferito che Roth era capace di vera generosità. Quando aveva soldi, dava a piene mani; non respingeva nessuno che chiedeva qualcosa.
Faceva regali ai figli di Andrea Manga Bell, ma allo stesso tempo davanti a terzi li rese responsabili per i suoi problemi economici e si lamentava di dover mantenere una intera tribù di negri. Giocava con i bambini. Era entusiasta quando volevano scrivere un romanzo, e per la bambina di otto anni si inventò la più audace versione della sua leggenda d’origine: “sarebbe nato come corvo e sua madre uccello spietata lo avrebbe buttato fuori dal nido.” Tuttavia, quando Andrea Tüke ebbe 14 anni, Roth non esitava a rinfacciarle che non si poteva mai lasciare da sola sua madre, perché altrimenti si metteva a letto con qualsiasi tassista o addetto all’ascensore. Evidentemente Roth era capace di incantevoli gesti di gentilezza, ma anche di gaffe uniche.
Si potrebbe quasi dire che era imprevedibile, se non ci fossero stati dei comportamenti stereotipici come i suoi sfoghi di gelosia: impedì ad Andrea Manga Bell di ballare (un mostro di lascivia), di indossare costumi da bagno (questo attira la sciagura, è esibizionismo) e anche la visita dal parrucchiere (la bottega di parrucchiere è un bordello). Il parrucchiere doveva venire in casa. Roth era anche contrario all’attività di Andrea come redattrice. Lei pensava che lui la volesse rendere dipendente da lui. Lo amava lo stesso ed era affascinata da lui.
La “bella donna di pelle scura, che seguiva Roth come un’ombra in esilio” (Hertha Pauli), alla fine gli divenne un peso. In questa donna sta – come dall’altro in tutte – l’istinto fatale e molto naturale di limitarmi, di rendermi familiare e un animale domestico, e mi posso difendere da ciò con una buona coscienza se non le faccio mancare niente. Senza una buona coscienza, invece, non mi posso ritenere libero. Allora soffrirei due volte. (A Stefan Zweig, 26 Novembre 1935) Pensava di dover essere sovrano come un sultano nell’harem, e temeva (Natale era alle porte): La mia intera tribù di negri si sta avvicinando, per quanto superfluo e paradossale, con abeti tedeschi e sentimenti ariani. Dopo aver conosciuto Irmgard Keun nel 1936 si separò da Andrea Manga Bell. Dopo la rottura con Irmgard Keun nel 1938 fece il tentativo di tornare con lei, ma lei rifiutò.
Andrea Manga Bell fu la compagna di Roth durante la scrittura dei suoi romanzi più importanti. Era partecipe di queste opere. In Settembre il suo grande romanzo ebreo cominciò ad essere pubblicato in anticipazione: Giobbe.
La trama del romanzo è semplice: Mendel Singer, pio, timorato di Dio e comune, come viene caratterizzato in allusione all’inizio del libro Giobbe della Bibbia, un ebreo del tutto ordinario , viene strappato dalla sua mediocrità da una serie di eventi, che lo gettano in sofferenza e miseria: il primo dei suoi figli deve assolvere il servizio militare, contrario alla fede della famiglia, il secondo fugge in America, il terzo è ritardato mentale ed epilettico sin dalla nascita; l’unica figlia si mette con un cosacco. Una volta Deborah, la moglie di Mendel, porta il bambino da un rabbino e riceve la sua benedizione: Menuchim, figlio di Mendel, guarirà. Non ci saranno molti suoi pari in Israele. Il dolore lo renderà saggio, la bruttezza magnanimo, l’amarezza soave e la malattia forte. Nessun indizio accenna al compimento della profezia. Quando Mendel Singer emigra con sua moglie in America, seguendo il secondo figlio, Menuchim deve essere lasciato indietro. Entrambi i figli più grandi muoiono nella guerra mondiale, perciò muore anche la madre, e la figlia impazzisce. Allora Mendel rinuncia alla sua fede: Mendel ha la morte, Mendel ha la pazzia, Mendel ha la fame, tutti i doni di Dio ha Mendel. È finita, finita, finita per Mendel Singer. Tuttavia i suoi compagni di fede di un tempo vedono in lui il prescelto. Il disperato riceve la grazia. La profezia del rabbino si avvera, Menuchim è guarito. È diventato un famoso compositore e direttore d’orchestra, viene in America e si prende cura del padre, che ora può riposare dal peso della felicità e la grandezza dei miracoli .
Sicuramente Roth ha trovato l’ispirazione per questo libro nel suo destino personale. Anche gli amici di Roth si sono accorti degli elementi autobiografici presenti nel Giobbe. Così Stefan Zweig comunicò a Richard Friedenthal di vedere nel romanzo la rappresentazione della tragedia coniugale di Roth, nella figlia di Mendel una copia di Friedl.
In una recensione Zweig prese il romanzo, per far vedere il suo significato, come punto di partenza per uno sguardo retrospettivo e disse sulle opere sinora scritte: “[…] stuzzicavano senza soddisfare e si ammiravano senza amarle del tutto […]” Come corrispondente Roth era già famoso; come scrittore di romanzi lo diventava ora. Il romanzo Giobbe, del quale l’autore diceva in modo autocritico, che sia troppo virtuoso nel suo suono di violino; Paganini; la sofferenza è troppo gustosa e troppo morbida , vinceva le anime.
Giobbe divenne il libro di maggior successo. Nel 1931 venne pubblicata l’edizione americana del romanzo, nel 1933 quella inglese. Nel 1939 venne rappresentata una versione teatrale a Parigi. A Hollywood cominciarono una riduzione cinematografica sentimentale, che portava a risultati grotteschi: trasformavano l’insegnante ebreo in un sacrestano cattolico a Colle Isarco nell’Alto Adige.
La critica ammirava l’opera, ma manifestava anche dubbi. La fine del romanzo è stata criticata più volte. La prima parte del romanzo convinceva di più della seconda, la rappresentazione di New York era considerata artificale. Roth raccontò a proposito di questa critica che non era stato in grado di scrivere la seconda parte del romanzo senza bere in continuazione.
Strana e caratteristica è un’altra autodichiarazione di Roth a proposito di Giobbe, citata da Bronsen: “A un amico, che con tanto sincero riconoscimento fece notare il fatto che il contenuto del romanzo Giobbe non corrisponde al titolo, perché “il paziente” della Bibbia ha lottato per ritrovare il suo Dio, ma in realtà non l’ha mai perduto, Roth rispose brevemente e un po’ amareggiato, come se parlasse di se stesso: Il mio Giobbe non lo trova.
Il romanzo non esprime il voltarsi verso la fede in Dio da parte del suo autore, ma l’incredulità nelle capacità dell’uomo di cambiare il suo destino con la propria forza; in questo vi è l’anello finale della critica sociale di Roth negli anni venti” (Juergens).

Traduzione dal tedesco all’italiano de La Marcia di Radetzsky di Joseph Roth da parte di Gianni Casoni ( pagg. 41 – 57 )

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