venerdì 15 aprile 2011

La Marcia di Radetzky (VI parte)

Una tomba in esilio


“Lasciateci pregare gli Dei per un cuore semplice.”
Iscrizione di Roth in un esemplare dell’autobiografia di Grillparzer regalato a Benno Reifenberg; citazione dalla “Medea” di Grillparzer.

Subito dopo l’avvento al potere da parte dei nazisti, probabilmente il 31 Gennaio del 1933, secondo la sua propria dichiarazione il 30 Gennaio, Roth lasciò la capitale tedesca con il treno mattutino diretto a Parigi. Il viaggio era stato programmato da lungo tempo. Ora lo sviluppo politico gli diede un nuovo significato definitivo.
Roth portò con se solo pochi manoscritti. La maggior parte dei suoi manoscritti, tra cui anche opere incompiute e non ancora pubblicate, rimasero indietro nella casa editrice Kiepenheuer. Il viaggio a Parigi – dove era più a casa che a Berlino e dove preferiva vivere – nei suoi occhi non doveva ancora essere un commiato definitivo dalla Germania. Come quasi nessun’altro scrittore poteva ricorrere al fatto di aver valutato correttamente il pericolo proveniente da Hitler. Era chiaro che prossimamente gli sarebbero state troncate tutte le possibilità di lavoro in Germania. (Effettivamente tutti i suoi scritti vennero subito messi sulla lista nera.) Un pericolo mortale immanente non sembrava ancora minacciarlo, perché era cittadino austriaco. Nei mesi successivi Roth pensò per motivi di lavoro (si trattava dei suoi diritti d’autore presso la casa editrice Kiepenheuer) ad un ritorno temporaneo a Berlino. Non ci arrivò più. Il 22 Marzo 1933 avvertì Stefan Zweig: Non è giusto che Lei voglia rimanere anche nel caso di pericolo. “C’è scritto”, che l’uomo che si espone volontariamente al pericolo, commette un peccato. La vita è un dono di Dio. S o l o p e r D i o ci si può esporre ad un pericolo. Non si deve neanche osare prevedere, se o che tocca la propria sorte. Si deve uscire da una casa in fiamme e se poi fuori il fuggitivo muore per un incidente, solo allora è la volontà di Dio. La sua prognosi era: durerà 4 anni; […] Hitler andrà a finire nel disastro o nella monarchia […]
La posizione di Roth nei confronti del nuovo governo tedesco era sin dall’inizio tale da non ammettere compromessi: Si deve r i n u n c i a r e a qualsiasi speranza, in modo definitivo, calmo, forte, come si deve. Tra noi e lui c’è guerra. Ogni pensiero del nemico sarà punito con la morte. Tutti gli scrittori di rango, che sono rimasti lì, perderanno la vita letteraria. Profetizzava la fine: Questo “rinnovamento nazionale” andrà fino alla estrema follia. È proprio la forma maniaco-depressiva nota nella psichiatria. Così è questo popolo. Non faceva distinzione tra i nazisti e i prussiani; il suo odio per questi si fece strada: Lei non ha mai visto i prussiani […] come li ho visti io. Ho fatto esperienza sul campo. È vero che ci si racconta degli orrori in Belgio. È vero! I prussiani sono i rappresentanti dell’inferno chimico, dell’inferno industrializzato del mondo. Saranno presto colpiti. Scompariranno molto prima di quanto si crede. Non si faceva illusioni sui problemi dell’esilio, ma per riguardi umani non accettò neanche un cauto attendere. E non teneva in alcun conto la perfezione tattica. Un’ulteriore collaborazione presso il “Frankfurter Zeitung”, per il quale la redazione era pronta a concedergli condizioni particolarmente convenienti, la rifiutò in modo gentile, ma fermo. Senza lamentarsi interruppe contatti, anche quelli sperimentati da tempo come quelli con Bernard von Brentano. Neanche con Benno Reifenberg fu indulgente.
Roth prende posizione anche contro la sinistra politica, non meno deciso che contro i nazisti e contro i prussiani. (Sono corresponsabili del nostro destino.) E ora scrive che abbia aspettato […] 12 anni prima di avere un buon nome conservativo.
Le lettere di Roth da Parigi del 1933 danno una buona immagine delle sue idee dell’epoca. Come quasi tutte le sue lettere, sono state scritte in modo un po’ frettoloso e disadorno, senza la precisione del suo stile belletristico e saggistico, che doveva veramente essere elaborato. Le lettere sono sempre scritte per un motivo concreto e non si allontanano dall’argomento. Tante lettere sono indirizzate a Stefan Zweig a Salisburgo, che come nessun’altro dei suoi conoscenti era in grado di aiutare e lo fece. Dalle lettere di Roth dell’epoca escono fuori pessimismo, disgusto, disperazione, ma anche determinazione, volontà di autoaffermazione, freddezza. Non sono depresse.
Tutti abbiamo sopravvalutato il mondo: anch’io, che sono un pessimista assoluto. – Il mondo è molto, molto stupido, brutale. Una stalla di buoi è più intelligente. Tutto: umanità, civilizzazione, l’Europa, anche il cattolicesimo: Una stalla di buoi è ancora più intelligente. (28 Aprile del 1933) In questo c’era anche un’autoaccusa, visto che non soffriva della persecuzione solo da ebreo: Proveniamo piuttosto dall’”emancipazione”, dall’umanità, dall’”umano” in generale, scrisse a Stefan Zweig, piuttosto che dall’Egitto. I nostri antenati sono Goethe Lessing Herder non di meno di Abramo Isacco e Iacopo. Del resto non veniamo più colpiti da cristiani pii, come i nostri antenati, ma da empi pagani. Qui non si va solo contro gli ebrei. Anche se loro, come sempre, levano le grida più alte. Qui si va contro la civilizzazione europea, l’umanità, dei quali Lei è con diritto ed orgoglio l’antesignano. (E contro Dio)
La riassunta presa di posizione di Roth sull’emigrazione relativa alla sua visione del mondo è contenuta nel suo libro L’Anticristo, pubblicato nel 1934, scritto dall’autore come avvertimento e ammonimento, perché si riconosca l’anticristo, in tutte le forme in cui si manifesta. Ha spiegato questa breve premessa del suo libro in una lettera a René Schickele: […] i singoli paragrafi contengono tutte le forme in cui si manifesta. […] L’anticristo è amico e nemico. E alla fine una piccola parte di lui si è insediata in me stesso. – […] Questo è il periodo: Non si riconosce Cristo – è troppo lontano – ma il suo nemico.
Il tentativo problematico di catturare il diavolo fallì anche questa volta. Roth si fissò completamente sul suo Anticristo. Trovava dappertutto il diavolo, nel cinema, tra i comunisti e nella chiesa, con poche parole: calunniava l’epoca. Dopo essersi sentito molto felice in un primo momento, cioè quando finì il libro (ebbe una piccola idea di ciò che prova un santo, quando si abbassa a scrivere), scoprì sotto l’impressione delle critiche negative e della vendita scarsa che il libro era mal riuscito. È addirittura deludente il suo linguaggio che ha come modello il linguaggio simbolico dell’Apocalisse di San Giovanni.
Nel suo esilio a Parigi Roth viveva per lo più in alberghi. Tuttavia li lasciava ripetutamente per intraprendere viaggi per motivi economici e politici, soprattutto, però, per soggiorni più lunghi nella Francia meridionale, in Svizzera, in Austria, Belgio e Olanda. Quando si ha un grande dolore, fa bene cambiare il luogo di soggiorno, scrisse Roth all’inizio a Vienna in uno dei suoi saggi. Nell’ Agosto del 1933 fece visita a Stefan e Friderike Zweig a Salisburgo. Dopodiché visse con Andrea Manga Bell per tre mesi a Rapperswil sul Lago di Zurigo. Nel frattempo fece in Ottobre il suo primo viaggio ad Amsterdam, che in questo momento stava per diventare il luogo di case editrici più importante per gli scrittori d’esilio.
Nel sanatorio di Purkersdorf presso Vienna si sottomise senza successo ad una cura disintossicante. Dal Giugno 1934 al Luglio 1935 visse nella Francia meridionale, prima a Marsiglia, poi a Nizza. Lui e Andrea Manga Bell, Heinrich Mann e Nelly Kroeger, Hermann e Toni Kesten avevano lì una casa in comune. Gli scrittori d’esilio tedeschi non si traferivano nel Mediterraneo francese solo per il paesaggio e il clima, ma li attraeva anche il costo di vita basso.
Roth trovò nei Paesi Bassi tre case editrici: la Querido-Verlag tedesca, fondata nel 1933 da Fritz Landshoff, la Verlag Allert de Lange, il cui dipartimento tedesco veniva diretto dal 1934 da Britz Landauer, e la cattolica Verlag De Gemeenschap a Bilthoven. In un necrologio nel “Pariser Tageblatt” Roth ha lodato i meriti dell’editore Gerard de Lange, morto nel 1935, per la letteratura d’esilio tedesca. Le prime edizioni delle opere di Roth scritte in esilio sono state pubblicate nei Paesi Bassi, ad eccezione delle novelle Le Triomphe de la Beauté e Le Buste de l’Empereur, che prima sono state tradotte in francese e pubblicate a Parigi. Perciò Roth si recò ripetutamente ad Amsterdam: soggiornò lì anche nel Maggio del 1935, da Marzo a Giugno 1936 e di nuovo nel 1938.
La sua situazione economica e di salute peggiorava in continuazione. Soprattutto le lettere a Zweig sono piene di grida d’aiuto disperate. Roth aveva perso definitivamente il controllo sulle sue faccende finanziarie e non era neanche più un partner commerciale corretto. Nella sua situazione difficile ha concesso i diritti per alcune delle sue opere più volte.
In fondo la sua situazione era migliore di quella di tanti altri scrittori d’esilio. È vero che le tirature dei suoi libri erano calate in modo drastico dopo la mancanza del mercato tedesco, ma dal 1933 al 1938 vennero pubblicate 28 traduzioni di titoli diversi in una dozzina di lingue. Gli anticipi che Roth riceveva ancora, suscitavano il malumore di alcuni colleghi. Così disse René Schickele che Roth aveva un effetto “da vero aspirapolvere” nella casa editrice Verlag de Lange. Tuttavia il denaro gli svaniva tra le mani.
Il suo stato d’animo si capisce leggendo una lettera senza data a Zweig, presumibilmente del Febbraio 1936: Giro con la lingua per terra, uno scroccone con la lingua di fuori e scodinzolando. Come dovrei non concludere nuovi contratti riguardo nuovi libri? Neanche questi contratti li trovo. Che devo fare, ora, oggi, la prossima settimana? Tutte le Sue riflessioni, in fondo corrette, nel mio caso non hanno premesse. Basta che si metta nei miei panni, ne è in grado, nelle mie giornate che Le ho descritto. Non ho più notti. Sono [seduto] fino alle 3 di mattina, mi sdraio verso le 4, mi sveglio alle 5 e girovago nella stanza. Non ho cambiato i miei vestiti da 2 settimane. Ma Lei sa cosa significa tempo, un’ora è un lago, un giorno un oceano, la notte l’eternità, lo svegliarsi uno spavento infernale, l’alzarsi una lotta per chiarezza contro un’incubo febbrile. Tempo, tempo, tempo, ecco che ci vorrebbe, ma non c’è l’ho. Fra due settimane arriverà un contratto, fra tre settimana una risposta dall’America, così si dice – e quanto perdo della vita in queste due settimane! […] che vuole, che pretende pazienza da una persona, che è mezzo cadavere, mezzo pazzo? […] Debiti, fantasmi, privazione e scrivere, parlare, sorridere e nessun’abito, nessuna camicia, niente stivali, e bocche aperte ed affamate, e scrocconi, per sfamarle e fantasmi, dappertutto fantasmi, sempre di nuovo. E dietro di me, che vita!
In occasione della sua visita ad Amsterdam nel 1936 la Verlag de Lange organizzò per Roth una serata, dove tenne una conferenza sulla superstizione nel progresso, con tanto successo morale, addirittura finanziario (circa 50 fiorini), come riferiva ironicamente a Zweig.
Seguì un soggiorno a Ostenda – insieme a Kesten, Zweig, Toller e Kisch. (Probabilmente era il momento in cui ebbe luogo la prima visita di Roth a Otto d’Asburgo sul castello Steenockerzeel nei pressi di Bruxelles.)
A Ostenda Roth venne presentato da Kisch a Irmgard Keun, che viveva in esilio dal 1935.
All’epoca Irmgard Keun aveva 27 anni. Quando conobbe Roth era ancora sposata con lo scrittore Johannes Tralow. La figlia di un industriale era diventata prima un'attrice a Greifswald ed Amburgo, poi una scrittrice. Nel 1931 pubblicò il suo primo romanzo “Una di noi”, nel 1932 il bestseller “La fanciulla di seta artificiale “. Scriveva con “la velocità e il timbro di un periodo ossessionato dallo sport, dal cinema e dalla musica jazz: lei stessa scintillante, carina e disinvolta, acuta, spiritosa, con una profonda conoscenza delle persone” (Rumler). Aveva odiato i nazisti in tempo, aveva rifiutato di aderire alla Reichsschrifttumkammer (camera del Reich per la letteratura; n.d.t.); i suoi libri erano stati messi all’indice, aveva superato interrogatori e arresti.
Irmgard Keun e Roth vissero insieme per un anno e mezzo, fino all’inizio del 1938. Le lettere di Roth a lei o enunciati scritti su di lei non sono stati finora trovati. Irmgard Keun, invece, ha riferito sulla sua vita con Roth – in un romanzo (“Figlio di tutte le nazioni”, Amsterdam 1938) e in “Immagini e poesie dall’emigrazione” (1947): “Quando vidi Joseph Roth per la prima volta a Ostenda, ebbi la sensazione di vedere una persona che sarebbe semplicemente morta per tristezza nelle prossime ore. I suoi occhi rotondi azzurri guardavano fisso quasi senza guardare per la disperazione, e la sua voce sembrava sepolta sotto carichi di pena. Più tardi quest’impressione scomparì, perché Roth all’epoca non era solo triste, ma anche l’odiatore migliore e più vivo.” (Il romanzo “Figlio di tutte le nazioni” è stato ripubblicato nel 1981.)
Lo accampagnava sui suoi viaggi; beveva con lui. Il 20 Novembre 1936 Kisch richiamò l’attenzione di suo fratello Paul a Vienna sulla coppia: “Penso che dimorino all’hotel Bristol […] Se li incontri sono molto contento, ma non ubriacarti […]”
Nel Febbraio del 1937 Roth accettò, accompagnato da Irmgard Keun, un invito per un giro di conferenze attraverso la Polonia. Da mesi campo miseramente tenendo conferenze […] Non so ancora come faccio a tornare nell’Europa occidentale. Soffro terribilmente, scrive il 28 Febbraio del 1937 a Blanche Gidon. L’indicazione esagerata del tempo, “da mesi”, forse deve giustificare il fatto che non ha scritto da tanto tempo, forse è anche, il che sarebbe comprensibilissimo, l’espressione della depressione, perché: Vado da un piccolo paese all’altro, un circo ambulante, una sera su due in smoking, è terribile, una sera su due la stessa conferenza. [La superstizione nella cultura, tenuta normalmente in lingua polacca.] L’associazione P.E.N. me l’ha procurato, altrimenti sarei già morto da tanto tempo. E ancora: Vengo da Varsavia, scrivo da Wilno. – Vado nelle città di confine. – Devo ancora tenere 4 conferenze.
Roth era anche a Lemberg, vide i suoi parenti per l’ultima volta in quest’occasione, ma non abitò da loro. Si riprese un po’ in questa città familiare. Da Lemberg scrive a Friderike Zweig a Salisburgo, accetta l’invito di andarci ed è disposto a parlare anche lì, se solo porta un po’ di soldi. – Potrei per esempio tenere la mia conferenza sulla fede e il progresso, una cosa cattolico-conservativa. Roth andò, passando per Vienna, a Salisburgo e da lì tornò a Vienna. Da Luglio ad Ottobre vive a Bruxelles, Ostenda, Amsterdam. Poi rimase a Parigi fino alla fine dell’anno.
Nel Febbraio del 1938 andò un’altra volta a Vienna: Per incarico dei Legittimisti di Parigi si impegnò, immediatamente prima dell’”Annessione” dell’Austria alla Germania, per un colloquio con il cancelliere federale Schuschnigg. All’ultimo momento si volle evitare l’annessione imminente. (Otto d’Asburgo propose all’epoca in una lettera a Schuschnigg di dargli l’incarico di cancelliere.) Roth venne accolto solo da Skubl, il questore di Vienna, che gli consigliò di lasciare l’Austria. Questo soggiorno a Vienna portò il commiato dagli amici austriaci. Franz Theodor Csokor ha riferito sull’incontro con Roth nell’hotel “Bristol”.
Già prima di questo viaggio Irmgard Keun si era separata da Roth a Parigi. “Avevo la sensazione di essere scappata da un peso insopportabile.” Si trasferì a Nizza con un ufficiale della marina francese.

Mentre i lavori giornalistici di Roth in esilio erano soprattutto al servizio della discussione politica – per i saggi culturali nel senso più stretto ora gli mancano i giornali addatti -, nei suoi romanzi e nelle novelle di solito fugge dalla problematica del presente.
La prima opera in esilio di Roth è del 1933, quando comincia a Parigi il romanzo Tarabas. Un ospite su questa terra. In una lettera a Zweig del 22 Maggio 1933 appare pieno di fiducia in se stesso: Argomento splendido, lontano dalla Germania, ma con una relazione evidente con essa, si svolge nella regione del confine orientale. PAR DISCRETION: St. Julien l’hospitalier in versione moderna, al posto degli animali: ebrei, e alla fine il rapimento. Molto cattolico. – Ho trovato l’argomento in un giornale ucraino. È perfetto.
Tarabas ricorda non solo il “San Giuliano l’ospitale - La Legende de Saint Julien l'Hospitalier” di Flaubert, ma anche il “Delitto e castigo” di Dostoevskij, ed è la storia delle strade sbagliate e il ritorno a casa di un figlio, in Russia, in America (New York) e di nuovo in Russia. Roth ricorre ai vecchi argomenti della sua patria. Perciò l’esecuzione dettagliata non gli era difficile (originariamente sperava di poter scrivere il romanzo nel giro di tre mesi). E quando mai avrebbe avuto difficoltà di scrivere, dove ora addirittura si rifugiava per dimenticare? Ma proprio da lì adesso sorge un problema artistico: Tarabas soffre di troppi svolgimenti innaturali che si susseguono senza un concetto convincente.
Oltre a questo scrive nel primo anno e mezzo in esilio anche quattro novelle. Tra di loro Il Busto dell’Imperatore è un testo particolarmente indicativo della rappresentazione del passato sempre più fiabesca di Roth. Nella Galizia occidentale di un tempo, nell’odierna Polonia, molto lontano dall’unica linea ferroviaria, che connette Przemysl e Brod, si trova il paesino di Lopatyny, così comincia il racconto, al quale segue subito una spiegazione storico-politica, alla quale costringono i capricci innaturali, mostrati dalla storia mondiale negli ultimi tempi […] Dopodiché Roth racconta del suo conte Morstin, che era uno dei tipi dell’austriaco più nobili e puri in assoluto, cioè: una persona sovranazionale e quindi un nobile del tipo genuino: seppellisce il busto del suo imperatore dopo gli ultimi omaggi del popolo e chiede nel suo testamento di non essere sepellito nella tomba di famiglia, ma accanto al busto. – Anche Il Leviatano (originariamente I Coralli, pubblicazione parziale nel 1934 sotto il titolo Il Commerciante di Coralli) porta in Galizia. Il protagonista di questa novella, Nissen Piscenik, appare in tutte le opere di Roth tre volte, con un altro nome addirittura una quarta volta. Anche Il Capostazione Fallmerayer, la storia di un amore per una quasi sconosciuta, porta per sezioni nel mondo delle esperienze di Roth dell’oriente e degli anni della guerra. Questa novella doveva avere originariamente il titolo Il Matrimonio d’amore, ma si trattava del titolo del primo volume di novelle di Kesten, che Roth aveva recensito nel 1929; più tardi, così ci riferisce Roth, sarebbe stato lui stesso ispirato dal suono del nome Fallmerayer. (Con questa scelta del nome influenza sicuramente lo studio universitario di Roth della letteratura.) Nel Trionfo della bellezza, pubblicato prima in francese come Le Triomphe de la Beauté, la traduttrice Blanche Gidon trovò tendenzialmente dell’antifemminismo. Evidentemente penetrarono nell’opera delle esperienze di Roth della sua relazione con Friedl.
Tra le cose scritte più scarse che Roth ha dato alle stampe c’è il romanzo su Napoleone I cento giorni (1935), che scrisse nella Francia meridionale quando viveva in una casa con Heinrich Mann – che stava lavorando al suo “Henri Quatre” – e Hermann Kesten – che si occupava di Ferdinando ed Isabella di Spagna -: una competizione in romanzi storici, di cui vennero scritti così tanti in esilio. Dopo l’ entusiasmo iniziale Roth perse già durante il lavoro la voglia di questa storia: Questa è la prima e l’ultima volta che faccio qualcosa di “storico”, scrisse a René Schickele. Che gli venga un colpo. L’anticristo in persona mi ha sedotto a scriverlo. È indegno, semplicemente indegno voler dar forma un’altra volta a degli eventi già accaduti e perciò fissi – e irrispettoso. In realtà aveva trattato “gli eventi fissi” in modo molto arbitrario e anche poco attendibile.
Confessioni di un assassino, pubblicato nel 1936, è il terzo romanzo scritto in esilio. Ha la forma di una narrazione in prima persona doppia. Nel ristorante russo Tari Bari (che significa qualcosa come “storie inutili”) a Parigi il narratore della trama a cornice, uno scrittore tedesco, sente il racconto della vita di un fallito: Goluptschik (“la colombella”), il narratore della trama interna, è il figlio illegittimo di un principe Krapotkin. Dopo aver cercato invano di essere riconosciuto da suo padre, è entrato al servizio della polizia segreta zarista. Quando scoppia la prima guerra mondiale ha commesso un presunto duplice omicidio: le vittime sono suo fratellastro e la modella francese Lutetia, della quale era succube. Solo dopo la guerra viene a sapere che Lutetia e suo fratellastro sono sopravvissuti. La colpa di Goluptschin – questo è un motivo che fa pensare a Grillparzer -, per la quale doveva pagare con un lungo errore, sta nelle sue azioni. All’epoca volevo ancora l’inferno sulla terra, cioè avevo sete di giustizia.
Ora però la curva creativa di Roth risale ancora una volta: nel 1937 gli riesce il piccolo romanzo Il peso falso. La storia di un maestro taratore, la ripresa del suo mondo galizio di persone ed argomenti, densa nella descrizione, melanconica nel tono, di pari valore ai capitoli su Podolia nella Marcia di Radetzky (con la quale il romanzo ha in comune anche alcune figure). – Nel 1938 viene pubblicata La cripta dei Cappuccini e nel 1939 La milleduesima notte. Mentre questo romanzo si svolge alla fine del 19° secolo, in fin dei conti in un’Austria onirica mitologica, Roth riprende il materiale su Trotta e lo porta avanti in una connessione non stretta con gli eventi descritti nella Marcia di Radetzky fino all’anno 1938. La milleduesima notte, che tratta una visita di stato dello scià di Persia nella capitale del regno e città di residenza Vienna sullo sfondo di discreti grovigli erotici, è un gioco grazioso ed ironico, che fa apparire la competenza formale di Roth del tutto indomita. La cripta dei Cappuccini è l’epilogo profondamente pessimista dell’argomento Austria nella sua opera, e allo stesso tempo un riassunto personale. Dopo l’occupazione tedesca di Vienna nel 1938 il mondo dei Trotta è distrutto. L’io narrante del romanzo, Franz Ferdinand Trotta, cerca rifugio nella tomba degli Asburgo. La sua domanda: Dove devo andare adesso, io adesso, un Trotta? , con la quale finisce il libro, è anche la domanda di Roth.
Roth aveva esaurito il suo mondo di argomenti sinora usato. Ma ora riuscì a scrivere, ispirato da un’aneddoto raccontato nel caffè “Tournon”, nel giro di quattro mesi un capolavoro di una piccola prosa fittizia: La leggenda del santo bevitore. Quest’opera è stata pubblicata postuma.

Allora si porta il nostro povero Andrea nella sacrestia, e purtroppo non è più in grado di parlare, fa solo un movimento, se come volesse infilare la mano nella tasca destra della sua giubba, dove si trova il denaro che deve alla piccola creditrice, e dice: “Signorina Teresa!” – e fa il suo ultimo sospiro e muore. – Che Dio ci dia, a tutti noi bevitori, una morte così leggera e bella!
Così si conclude la leggenda. Solo attraverso questa poesia tenera, da fanciullo e ricca di desideri viene chiarita l’ultima fase della vita da bevitore di Roth.
Nel Novembre del 1937 il suo rifugio in questi sedici anni d’hotel a Parigi, l’hotel “Foyot” una volta famoso, venne demolito per il suo stato di cadenza letteralmente sopra la sua testa, perché Roth si era rifiutato di lasciarlo. Descrisse la demolizione in un articolo Pausa davanti alla distruzione dal caffè “Tournon” di fronte. Questo caffè faceva parte del piccolo “Hôtel de la Poste”, dove Roth si trasferì ora – in una minuscola mansarda. Principalmente viveva e beveva al caffè. Arrivavano ancora amici e molti conoscenti. Camminare per lui era sempre più difficoltoso.
Tuttavia apparve, come molti emigranti che vivevano a Parigi, il 7 Giugno del 1938 al funerale di Ödön von Horváth – “una schiera miserevole di uccelli arruffati”, racconta Carl Zuckmayer, “[…] lì barcollava Joseph Roth, lo stimato poeta, completamente ubriaco come al solito in questi tempi, con un abito imbrattato, appoggiato su due ammiratori giovanili.” Roth scrisse un necrologio (La morte di Ödön von Horváth).
Sembra che Roth abbia avuto un infarto nell’autunno del 1939. I mesi successivi sono di deperimento, si era arreso. Probabilmente in primavera si svolge l’episodio che racconta Walter Mehring. Incontrò Roth seduto ubriaco su un cordone e lo rimproverò: “Roth, perché beve così tanto? Ma si rovina!”, al che Roth rispose: E perché Lei non beve, Mehring? Pensa di poter salvarsi? Anche Lei morirà.” Nelle ultime settimane prima della sua morte scriveva solo poco. L’articolo La quercia di Goethe a Buchenwald è probabilmente l’ultimo lavoro letterario di Roth. La scrittura è per circa due terzi dettato – alla fine Roth dettava sempre più spesso. Dalla stessa mano ignota, che aveva scritto il dettato, sono state scritte la data “Lunedì, 22 Maggio 1939” e la nota “Ultimo articolo prima della sua morte” sotto il testo. L’amore dello studente di germanistica di una volta della Galizia per la letteratura tedesca e l’odio dello scrittore in esilio per la barbaria nazista sono fusi in questo articolo.
La mattina del 23 Maggio Roth crollò nel caffè “Tournon”, quando gli arrivò la notizia del suicidio di Ernst Toller. Prima aveva ancora esclamato: Quanto è sciocco da parte di Toller impiccarsi ora che i nostri nemici stanno alla fine. Portarono Roth all’ospedale Necker, dove lo straniero malridotto venne accolto con indifferenza. Non si fece un’anamnesi e forse non sarebbe neanche stato possibile farla. Roth aveva un letto dietro una parete di vetro, in fondo ad una grande sala. Qui trascorse gli ultimi quattro giorni della sua vita. Tutti i giorni arrivavano degli amici. Già il secondo giorno il suo stato cominciò a peggiorare. Gli venne una bronchite. Siccome la costruzione del letto non permetteva che Roth potesse stare seduto, la bronchite si trasformò presto in una polmonite. Estremamente negativo per il suo stato fu il fatto che gli venisse tolto completamente l’alcool. Quando la sua inquietitudine aumentò, quando ripetutamente disse di dover lasciare l’ospedale, lo legarono al letto. I medici dell’ospedale non si presero quasi per niente cura di lui. (Un’assistente ceca rimpianse il fatto di non essere venuta a sapere in tempo chi fosse il paziente.) Due medici amici di Roth, che vennero a trovarlo, videro che si trovava nel delirium tremens. Alla fine Roth aveva la febbre alta e a causa della sua eccitazione non era in grado né di mangiare né di dormire. Gridando chiedeva insistentemente ai suoi camerieri di bere; aveva bisogno di alcool. La mattina del 27 Maggio 1939, era il sabato di Pentecoste, Joseph Roth morì.
L’intenzione di seppellirlo al cimitero di Montmartre, dove giace Heine, dovette essere abbandonata perché i costi erano esorbitanti. Venne scelto il Cimetière Thiais, situato a sud-est di Parigi nella Banlieu.
Il pomeriggio del 30 Maggio una grande folla si riunì lì per il funerale di Roth. “In questa comunità”, riferì Blanche Gidon, “si vedevano scrittori ed attori famosi, emigranti da Vienna, Praga, Berlino, gente di tutti le correnti politiche, giornalisti. Ma anche ignoti, poveri senza patria, che [Roth] un giorno aveva accompagnato negli uffici della questura, per richiedere per loro i documenti che avrebbero loro permesso il soggiorno in Francia.” Donne, una volta amate da Roth, erano venute: Andrea Manga Bell, Sybil Rares e la – solo una volta menzionata da Bronsen, del resto ignota – lituana Sonja Rosenblum. Il conte Trautmannsdorff, mandato da Otto d’Asburgo, portò una corona con un fiocco nero-giallo e l’unica scritta “Otto”. Quando parlò alla tomba di Roth come “combattente fedele della monarchia” e della “sua maestà Otto d’Austria” i comunisti venuti sotto la guida di Kisch protestarono. Quando il prete cattolico Johannes Oesterreicher cominciò a cantare la messa alla tomba, gli ebrei orientali brontolarono. Allora l’amico ebreo di Roth Joseph Gottfarstein rinunciò a recitare il kaddish. La domanda, dove apparteneva Roth, rimaneva senza risposta alla sua tomba.

L’Austria ha solo cimiteri e una cripta dei cappuccini e non ha un pantheon, così finisce il Grillparzer di Roth: Va bene così. Tutti quanti giaciono sotto l’erba […] Rappresentare l’austriaco significa: essere malinteso e maltrattato durante la vita, disconosciuto dopo la morte e talvolta innalzato alla dimenticanza dalle commemorazioni.
La tomba di Roth nel Cimetière Thiais era coperta in un primo momento da una lastra di cemento con l’iscrizione “JOSEPH ROTH / Poète Autrichien / MORT A PARIS EN EXIL”. Stefan Fingal aveva pagato per la parcella, amici depositarono denaro per la manutenzione presso l’albergatrice di Roth di un tempo all’”Hôtel de la Poste”, Germaine Alazard. A partire dal 1947 la legazione austriaca si assumeva i costi. Tuttavia la tomba, che ricevette poche visite, inselvatichiva e cominciava a sprofondare. Venne restaurata nel 1970 con mezzi del ministero austriaco per l’istruzione e si mise una lastra con lettere dorate (però con una data di nascita sbagliata).
Friderike Zweig, Hermann Kesten e Soma Morgenstern raccolsero le carte lasciate. In un primo momento vennero conservate da Friderike Zweig. Durante l’occupazione tedesca Blanche Gidon nascose le cose nella sua cantina. Nel 1946 Fred Grubel portò il lascito di Parigi a New York. Prima destinato alla Harvard Library, alla fine venne consegnato all’istituto Leo Baeck, dove si trova sinora. (Hackert ci dà una sintesi, cfr. la bibliografia.)
Nell’archivio della casa editrice Kiepenheuer a Berlino due cartoni con la scritta “Joseph Roth” sono sopravvissuti a persecuzioni e distruzioni. Si trovavano dentro tra l’altro le prime versioni scritte a mano dei romanzi Hotel Savoy, La ribellione, Lo specchio cieco, Fuga senza fine, Zipper e suo padre, ma anche i frammenti Fragole e Perlefter, inoltre il dattiloscritto redatto del rapporto Le città bianche e lavori preparatori per la raccolta Un libro di lettura tedesco. Il lascito berlinese contiene tanto materiale per una futura edizione critica delle opere. (Perlefter venne pubblicato nel 1978 secondo il manoscritto; Bronsen pubblicò nel 1974 il frammento Fragole da una fonte diversa secondo un dattiloscritto non datato e lo datò erroneamente – il materiale berlinese non era ancora stato scoperto - al 1935/36).
In Germania il poeta quasi completamente dimenticato per la prima volta fu ricordato con il libro commemorativo “Joseph Roth. Leben und Werk”, pubblicato da Hermann Linden nel 1949. Il 9 Maggio 1933 Roth aveva scritto a Stefan Zweig: […] l’interesse attuale nella nostra particolarità cala molto velocemente. E fra due o tre mesi saremo degli individui miseri e dimenticati. Fra dieci anni la generazione che ci ha conosciuto sarà addirittura scomparsa. Essenzialmente non ha esagerato. Linden, che ha progettato il libro commemorativo contro molte resistenze per il decimo anno della morte, riassume: “[…] il nome Joseph Roth, prima del 1933 noto per alcune centinaia di migliaia di libri, […] che era in primo piano e in grassetto di giornali e riviste […], era diventato un codice segreto degli esperti.”
Nel 1958 Hermann Kesten pubblicò estratti dell’opera nella rivista “Der Monat” (di Giobbe, della Leggenda del santo bevitore e di Grillparzer), inoltre un saggio su Roth e una lista dei suoi libri disponibili nelle librerie, rispettivamente dei libri precedentemente disponibili. Secondo questa lista già nel 1949 erano sono stati pubblicati Giobbe e La leggenda del santo bevitore, nel 1952 la Marcia di Radetzky e Confessioni di un assassino, nel 1953 Fuga senza fine; per la citata Cripta dei cappuccini manca l’indicazione dell’anno. (L’autore pensa di ricordarsi di aver letto per la prima volta il nome di Roth in questa rivista. Corrispondeva allo spirito del tempo che lo scoperto nuovo autore – tutti gli autori proscritti dai nazisti erano per la generazione all’epoca più giovane normalmente delle scoperte nuove e non riscoperte – fu recepito in un primo momento come il poeta della vecchia Austria; attualmente l’autore ha l’impressione che i suoi studenti prestino il loro interesse e la loro attenzione a Roth soprattutto come poeta dell’ebraismo orientale.)
Nel 1956 fu pubblicata la prima edizione delle Opere in tre volumi, curata da Hermann Kesten. Non voleva dire quasi nulla che era insufficiente dal punto di vista filologico; forse l’interesse fu addirittura più destato che ostacolato dalle carenze dell’edizione. È il merito permanente di Kesten quello di aver fatto valere Roth di nuovo con questa edizione. Tra i recensori di questa edizione si trova un grande nome della letteratura contemporanea: Heinrich Böll.
“Il fatto che la sua opera viene ora pubblicata”, così scrisse Böll all’epoca, “non è solo un atto di giustizia, non riempie solo una lacuna nella maggior parte delle biblioteche; questa edizione è un dono, una sorpresa, perché offre l’opera di un poeta, che può essere chiamato classico. […] in lui c’era tutta la saggezza dell’ebraismo, il suo umore, il suo amaro realismo; tutta il dolore della Galizia, tutta la grazia e la melanconia dell’Austria.” Böll continuò con la “pregnanza affascinante, che riunisce in modo raro prosaicità e sensualità” e riassunse: “Ciò che dalle tradizioni perdute sarebbe da rimpiangere, dalle cose da conservare sparse in tutto il mondo, in parte si è perso con e in Roth: non la ridondanza riscaldata, che si presenta e vende di solito come tradizione.” Non c’è da meravigliarsi che anche la critica del giorno si esprimeva con rispetto ed amore, visto che tutti i giornalisti nati potevano riconoscere in Roth uno di loro. La rinascita di Roth, che ora ebbe inizio, sin dal primo momento non era limitata alle università.
Schonauer cercava nella sua indagine citata già all’inizio di porre dei limiti: “Roth è un narratore importante, ma non è un caso eccezionale. Sta nella tradizione del romanzo viennese, il suo linguaggio e la sua tecnica narrativa sarebbero praticamente impensabili senza di esso. Allo stesso modo si trovano le influenze di Čechov e delle leggende ebraiche della sua patria volinia. E così la cosa sorprendente non sta tanto nella prestazione letteraria in sé – nonostante La marcia di Radetzky, Giobbe e La leggenda del santo bevitore -, ma nel fatto che nacque, superando il suo talento, dal destino che lo mandava in rovina.”
Roth è testimone della sua epoca – ed anche vittima. Poteva essere testimone solo a misura come lo è diventato, perché era una vittima. Reich-Ranicki, che come critico si è sempre di nuovo impegnato per far valere quest’autore, l’ha chiamato “una delle figure più amabili e allo stesso tempo più sconvolgenti della letteratura del nostro secolo”. La biografia di Bronsen ha rivelato una persona con molti tratti di carattere problematici, che non era solo amabile, ma che sapeva anche attrarre in ogni momento tanto amore (anche se lo potevano aiutare quanto meno il suo talento o la sua arte). A questo proposito Wapnewski ha tracciato un parallelo con Kleist, con il quale Roth veniva paragonato ogni tanto: era comune a tutti e due, che non c’era niente sulla terra che potesse aiutarli. Sono la perplessità e il suo bisogno di protezione che svegliano sconvolgimento ed amore. A fronte di ciò, che significa la domanda, chi era in realtà? “Un Proteo, un attore in costume, un uomo delle tante lingue. Ma queste tante lingue parlavano la prosa tedesca più pura della prima metà del secolo XX.” (Wapnewski)
Per la ricerca rimane ancora un ampio campo di lavoro. Roth non è l’unico scrittore, la cui immagine appare contraddittoria, la cui biografia politica mostra dei cambiamenti drammatici. Il lavoro editoriale, biografico ed interpretatorio è in grado di chiarire molte presunte contraddizioni.
Quando si parla di lui, sarà inevitabile fare ciò che in realtà sembra inammissibile: Uno deve farsi un'immagine di lui. Si deve descrivere come lo si vede, nella coscienza che non lo si conosce. Quindi si deve dire all’incirca (o citare): “[…] allo stesso tempo saggio ed ingenuo Roth errava attraverso la vita. Era solo alla sua altezza quando scriveva […] Aspettava invano questi miracoli con cui procurava un po’ di felicità e gioia alle creature della sua fantasia, senza salvarle dalla catastrofe. […] doveva inventarsi i miracoli di cui aveva bisogno così urgentemente. A lui, Joseph Roth, rimaneva solo la fuga nella favola.”
I miracoli inventati da Roth perdurano nella sua opera, che evoca una realtà più ampia della sua vita difficile e della sua fine tragica. Sapeva del rango della sua opera, del suo splendore - una espressione preferita di Roth. Era, e questo forse conta ancora di più, convinto del suo mestiere: La lettérature c’est la sincérité même, la seule expression vraie de la vie. (La letteratura è la sincerità stessa, è l’unica vera espressione della vita.) Tuttavia non vedeva nell’attività di scrittore […] un essere prescelti. […] Lo scrivere è una faccenda terrena e non si distingue, dal punto di vista “metafisico”, per niente dal fare le scarpe. L’esperienza religiosa trasmessa dalla sua opera, nel suo nucleo è un’esperienza della sofferenza, anche della connessione di tutte le sofferenze e di tutti i sofferenti. La solitudine di tante delle sue figure non contraddice a ciò: la loro perplessità e melanconia sono l’espressione di un sentimento profondo per una miseria generica, anche un’esperienza passiva del Dio assente. Proprio i suoi personaggi deboli gli stavano vicini. Non pretendeva dalle persone la perfezione ed un comportamento ineccepibile. Il giudizio del grande maestro taratore nell’opera Il peso falso è il suo giudizio: “Tutti i tuoi pesi sono falsi, e tuttavia tutti sono giusti. Quindi non ti denunceremo.” Ilja Ehrenburg ha riferito come Roth stesso spiegava questo romanzo ed il giudizio misterioso in una conversazione. Secondo ciò le parole del maestro taratore furono: È vero che i miei pesi sono più leggeri del prescritto. Ma così sono le cose sempre: altrimenti non si può vivere nella nostra città.” Sa, disse Roth a Ehrenburg, che cosa gli rispose l’ispettore superiore? Affermò che tanto non esistono le bilance esatte.
La propria debolezza è una debolezza generica. Il sofferente riconosce la sofferenza altrui. Lo spettatore Rota nell’arena di Nîmes vede nel toro torturato l’incarnazione di tutti i martiri della storia del mondo, nell’occhio dell’animale un barlume del dolore brillante […] nell’occhio del crocifisso. In una svolta esaltante la descrizione di Roth della corrida diventa una parabola della solidarietà e dell’amore, trasmessa dall’identificazione.





























Tavola cronologica



1894 2 Settembre: Moses Joseph Roth nasce a Brody , in Galizia , da genitori ebrei. La
madre , Maria Roth, in origine Grübel ; suo padre , Nachum Roth, compratore di cereali e commerciante in legname, prima ancora della nascita del figlio , dopo un anno e mezzo di matrimonio non fa ritorno a Brody da un viaggio di lavoro.
1901-1905 Frequentazione della scuola comunale/della comunità ebraica di Brody
1905-1913 Frequentazione del ginnasio imperiale Principe al trono Rodolfo a Brody. – Ripetuti
soggiorni a Lemberg. – Prime poesie
1913 Maggio: Roth supera la maturità con la lode. – Immatricolazione all’università di
Lemberg (semestre invernale 1913/14). – Autunno: viaggio (probabilmente già trasferimento) a Vienna
1914 Iscrizione all’università di Vienna nel semestre estivo 1914
1915 Prima pubblicazione di Roth, la poesia L’enigma del mondo. – Amicizia con Jozef Wittlin. – Rapporti con il professore Walther Brecht
1916 Lo studente eccellente (stesura ridotta; uscita completa dapprima nel 1973). – 28 Agosto: Roth si arruola alla scuola di un anno del 21° battaglione dei cacciatori di campo. – 21 Novembre: morte dell’imperatore Francesco Giuseppe I.
1917 Feuilletons e poesie nei giornali viennesi e praghesi. – Servizio militare in Galizia
1918 Dicembre: ritorno a Vienna. – Viaggio a Brody
1919 Fuga da Brody. – Fine Marzo: Roth è di nuovo a Vienna. – 20 Aprile: primo feuilleton nel giornale viennese di nuova fondazione “ Der Neue Tag “ (nel giro di un anno più di 100 lavori)
1920 30 Aprile: “ Der Neue Tag “ chiude la propria tiratura. – 1 Giugno: trasferimento a Berlino. Collaborazione con riviste e giornali berlinesi
1921 Collaborazione con il “ Berliner Börsen-Courier “
1922 5 Marzo: matrimonio con Friederike Reichler nel Pazmaninentempel a Vienna. – Giugno: inizio della collaborazione con l’ “ Avanti “
1923 21 gennaio: primo feuilleton nel “ Frankfurter Zeitung “. – Febbraio: inizio della collaborazione con il “ Prager Tagblatt “. – Tarda estate: Primo Viaggio a Praga. – 7 Ottobre-6 Novembre: prestampa dell’opera La tela del ragno nel “ Giornale dei Lavoratori “ viennese
1924 Feuilletons e poesie nel “ Lachen links “. – Hotel Savoy. Romanzo (prestampa nel “ Frankfurter Zeitung “). – La ribellione. Un romanzo (prestampa nell’ “ Avanti “)
1925 Primavera: corrispondente di feuilletons del “ Frankfurter Zeitung “ a Parigi. Amicizia con Benno Reifenberg. – 8 Settembre-4 Novembre: serie di articoli “ Nella Francia del mezzogiorno “. – Le città bianche (postumo). – Aprile. La storia di un amore. – Lo specchio cieco. Un piccolo romanzo









1926 Perdita della sua posizione a Parigi. – Fine Agosto-Dicembre: Roth visita l’Unione
Sovietica per conto del “ Frankfurter Zeitung “. Sequenza di articoli Viaggio in Russia
1927 Viaggi reportage. Serie di articoli Viaggio in Albania e Lettere dalla Germania nel
“ Frankfurter Zeitung “. – Ebrei erranti. – La fuga senza fine. Un resonto
1928 Febbraio: la malattia di Friedl (schizofrenia). – Amicizia con Stefan Zweig. –
Zipper e suo padre. – Il teatro ebreo di Mosca. Altri viaggi. Lettere dalla Polonia e La quarta Italia nel “ Frankfurter Zeitung “
1929 Collaborazione con il giornale “ Münchner Neuesten Nachrichten „ (fino alla
primavera del 1930). – Legame con Sibyl Rares. – Primo incontro con Andrea Manga Bell. – Destra e sinistra. Romanzo. – Un capitolo di rivoluzione e Il profeta muto ( estratti dall’omonimo romanzo )
1930 Giobbe. Romanzo di un uomo semplice. – Panottico. Personaggi e quinte
1931 Primavera: soggiorno ad Antibes. Edizione americana di Giobbe
1932 La marcia di Radetzky. Romanzo ( prestampa nel “ Frankfurter Zeitung “)
1933 Fine Gennaio: viaggio a Parigi. Inizio dell’esilio. Capostazione Fallmerayer. Inizio della collaborazione con riviste e giornali d’esilio
1934 Dal Giugno soggiorno nella Francia del sud. Tarabas, un ospite di questa Terra: Le triomphe de la beauté ( in tedesco dapprima nel 1935 ); Le buste de l’empereur ( in tedesco dapprima nel 1935 ); Il commerciante di coralli ( stampa parziale; postuma sotto il titolo Il leviatano )
1935 6-14 Maggio: Il trionfo della bellezza nel “ Pariser Tageszeitung “. – Giugno: ritorno a Parigi. – 28 Luglio-1 Agosto: Il busto dell’imperatore nel “ Pariser Tageszeitung “. – Inizio della collaborazione con la rivista edita in Austria da emigranti “ Lo stato cristiano di posizione sociale “. – I cento giorni
1936 Marzo-Giugno: soggiorno ad Amsterdam, a partire da Luglio ad Ostenda. Alla fine dell’anno di nuovo a Parigi. – Confessione di un assassino, raccontata in una notte
1937 Febbraio-Marzo: su invito del club PEN polacco viaggio conferenza attraverso la Polonia. – Soggiorno a Vienna. – Demolizione dell’hotel “ Foyot “ a Parigi; Roth si trasferisce all’ “ Hotel de la Poste “, caffè “ Tournon “. – Il peso falso/sbagliato. La storia di un maestro taratore
1938 Febbraio: ultima visita ( su incarico dei legittimisti austriaci ) a Vienna. – Tardo autunno: ultima visita ad Amsterdam. – Decadimento del suo stato di salute. La cripta dei cappuccini
1939 15 febbraio-1 Maggio: serie di articoli Diario nero-giallo nel “ Die österreichische Post “. – La storia della 1002ma notte. 23 Maggio: crollo al ricevimento della notizia del suicidio di Ernst Toller. – 27 Maggio: morte all’ospedale Necker. – 30 Maggio: sepoltura al Cimetière Thiais, a sudest di Parigi










Pubblicate postume:

1939 La leggenda del santo bevitore
1940 Il leviatano
1949 Joseph Roth. Vita ed opere. Un libro di memorie
1956 Opere in tre volumi
1964 Romanzi, racconti, saggi/composizioni
1966 Il profeta muto. Romanzo
1967 La tela del ragno. Romanzo
1970 Lettere 1911-1939
Il nuovo giorno. Lavori politici ignoti dal 1919 al 1927
1974 Fragole ( frammento di romanzo )
1975/76 Opere. Nuova edizione ampliata in quattro volumi
1978 Perlefter. La storia di un borghese ( frammento di romanzo )


































Notizie sull’autore


Helmuth Nürnberger, dott. in fil. , nato a Brüx in Boemia, studio di storia e letteratura alle università di Münster ed Amburgo. Laurea ed abilitazione ad Amburgo. (Dissertazione “ Il primo Fontane. Politica. Poesia. Storia. 1840-1860 “, Amburgo 1967.) Professore all’istituto superiore/università di Flensburg; docente privato ( nuova letteratura tedesca ) all’università di Amburgo.

Editore/curatore ( con W. Keitel ) delle “ Opere, scritti e lettere “ di Fontane per la casa editrice Carl Hanser, Monaco di Baviera ( 20 Bde., 1970ff); Gottfried Keller, “ Opere in tre volumi “, Monaco di Baviera 1978; “ Storia della letteratura tedesca “ ( con W. Grabert e A. Mulot ); Monaco di Baviera 1979. Altre pubblicazioni ed edizioni sulla letteratura tedesca ed austriaca del XIX e XX secolo. Per “ le monografie della Rowohlt “ scrisse anche i volumi “ Theodor Fontane “ (1968), “ Giovanni XXIII “ (1985) e – insieme a Karen Baasch – “ Oswald von Wolkenstein “ (1986).

Traduzione dal tedesco all’italiano de La Marcia di Radetzsky di Joseph Roth da parte di Gianni Casoni ( pagg. 67 – 82 )

www.tedescotraduzioni.com

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