mercoledì 4 maggio 2011

Dipsense (II parte)

Una borghesia andata alla deriva sputa su sé stessa. Le condizioni miserevoli della giornata lavorativa, l’inumanità di un’occupazione anonima e tutta l’estraniazione del sistema sono state considerate come destino personale del singolo; non furono attaccate le condizioni inumane ed analizzati i motivi che stavano dietro, bensì il singolo era abituato a cercare il motivo del suo fallimento economico in se stesso ed nel suo “destino”. La spiegazione irrazionale che la colpa dello stato delle cose era da ascrivere al sistema democratico oppure molto semplicemente a quelli della “sinistra” venne incontro all’ideologia del ceto medio che vedeva scomparire il suo riconoscimento sociale e che si voleva garantire energicamente verso il basso – ma del resto questa spiegazione significava anche una decisione nella confrontazione tra lavoro e capitale. I molti partitini, che erano presumibilmente il motivo immediato della fine della Repubblica di Weimar, sono solamente un’espressione del dato di fatto che nella Germania del dopoguerra non poteva venire installata alcuna democrazia per via parlamentare. Tutto ciò che il movimento dei lavoratori aveva raggiunto nei tentativi rivoluzionari dopo la fine della guerra, tutte le concessioni che il capitalismo aveva dovuto fare all’inizio della Repubblica di Weimar, erano ora nuovamente ritirate. Le ultime fasi nella storia della malattia della Repubblica erano caratterizzate da una costante perdita di potere delle forze democratiche; ma allo stesso tempo si giunse ad una concentrazione di potere antidemocratica, autoritaria e fascista. Questo movimento raggiunse un arresto (provvisorio) dopo che era stato trovato l’ottimale compromesso politico ed economico, quando i detentori del potere effettivo (grande industria, latifondisti, esercito, presidente del reich) si unirono al NSDAP. Il fascismo era quindi il mezzo per sostituire in una società capitalista altamente avanzata i meccanismi politico economici del libero mercato con un terrore sistematico; divenne principio d’ordine che garantiva i contraddittori rapporti di produzione.

In Austria lo sviluppo politico economico si distingue da quello della Germania per il fatto che l’industrializzazione si è limitata principalmente a Vienna e poche altre città mentre la maggior parte del paese era ancora sorretto dall’agricoltura. A differenza della confinante Baviera qui non c’era stata nessuna repubblica dei soviet nonostante la presenza di forti organizzazioni dei lavoratori. L’arretratezza di sviluppo del capitalismo industriale da una parte e le attività politiche dei lavoratori dall’altra hanno formato gli elementi dello sviluppo sui generis dell’Austria. Secondo l’opinione di Clemenz questi furono i presupposti della dittatura conservatrice in Austria: i tentativi rivoluzionari del proletariato sono stati appoggiati da parti del ceto medio e da gruppi proletaroidi. Per garantirsi i loro vecchi sociali, politici ed economici privilegi messi in pericolo oppure per ripristinarli i gruppi capitalistici (industria e latifondisti) cercarono l’esercito o formazioni militari come partner di coalizione; questi stessi temevano di perdere i loro privilegi riconoscendo contemporaneamente le loro identità d’interessi. La forma di governo indemocratica che si potè imporre fu la dittatura della borghesia che non aveva ancora bisogno di





passare all’aperto fascismo, ma che da questo avrebbe potuto facilmente venir inglobata in seguito. –

Roth, che visse in prima persona questi sviluppi, reagì in un modo che – in particolar modo per la sicura distanza storica – deve venirgli attribuito non personalmente come un agire sbagliato dal punto di vista morale o intellettuale. Non è certamente neppure atipico, anche se non tutti i suoi contemporanei scelsero questa forma sperando di trovare la loro salvezza nella monarchia passata. La trasformazione di Roth da “rivoluzionario a monarchico” (per usare qui questa semplificazione) è spiegabile. Nei primi anni del dopoguerra egli potè far suo l’interesse della classe dei lavoratori, abolire lo stato classista; egli potè condurre una battaglia contro capitalismo, cattolicesimo ed esercito; la forza oggettiva del movimento dei lavoratori e la labilità della struttura della società, che non si era ancora consolidata, sembravano promettere la possibilità di un nuovo ordine socialista come soluzione alla miseria. Nel suo viaggio alla volta della Russia (dove vide il socialismo che veniva praticato là e –
non atipico – lo utilizzò come apologia della situazione a casa) gli venne tuttavia in mente definitivamente che i suoi interessi e privilegi lo legavano alla classe dominante e che questi non si lasciavano accordare con gli interessi del proletariato. Ma poiché la società classista nella sua oggettività era uno scandalo, che sembrava irrevocabile, la cosa dovette venir considerata da un altro aspetto: si doveva costruire una “teoria di classe” (non di genere nuovo) secondo la quale il vertice “vero e proprio” della società è l’aristocrazia dello spirito – a questa non si può certo mai, così pensa Roth, contestare la supremazia s p i r i t u a l e. Spirituale sta qui naturalmente in contrasto con “materiale”; ma che i “signori” spirituali abitano accanto agli altri non può più venire riflesso. Lo “spirito” si sente indipendente e libero da qualsivoglia interessi vergognosi. L’aristocratico creativo non ha bisogno di alcun titolo e di alcun trono. Ma è la storia, e non la censura, che gli detta le sue leggi.

La paura della perdita della libertà d’opinione personale è penetrata in Roth fin nelle membra – di una “libertà di pensiero” di cui gode l’intellettuale borghese poiché gli altri sono dispensati dal pensare. Così Roth nel 1926 ritorna dalla Russia: Provvisoriamente la fisionomia spirituale dell’Europa rimane ancora più interessante – anche se la sua fisionomia politica e sociale è orribile. Poiché ambo le parti non hanno chiaramente niente a che fare l’una con l’altra Roth tenta d’ignorare d’ora in poi la realtà. L’inumanità viene con ciò accettata, lo spirito si rende autonomo e – diviene proprio perciò lui stesso disumano. Ora Roth vede le cose attraverso il velo del soggettivismo e della sensibilità borghese. Dalla Francia lui osserva la Germania che adesso è in procinto di far rotta verso il fascismo, e deplora ora la banalizzazione, l’americanizzazione, la bolscevizzazione, la perdita di cultura ecc. Non si può più vivere là! E’ una cosa tragica, non è un capriccio … Se ora fossi là diventerei matto. Tutto diventa personale in me … Rischio la vita se mi reco in Germania. Non lo posso fare dal punto di vista fisico. Un’atroce ironia il fatto che



alcuni anni più tardi la situazione fosse davvero tale che ci si poteva rimettere la vita intraprendendo un viaggio in Germania.
In ogni caso non si era ancora giunti a tal punto, ma l’analisi di Roth della situazione era rimasta incastrata in abili formulazioni – egli non sarebbe potuto stare a vedere insieme agli altri come il vertice di una piramide non viene formato da una punta, bensì da un teschio quadrato – non poteva neppure immaginarsi cosa sarebbe poi accaduto in seguito. Nel suo viaggio in Russia Roth ha rinunciato definitivamente a spiegare la realtà politica come tale: Il problema … qui non è in nessun caso di natura politica,bensì di natura culturale, spirituale, religiosa, metafisica. Dove si ha bisogno della metafisica non si è poi del resto tanto bravi nella cognizione.

Se dunque attraverso la condizionatezza sociale di Roth diviene spiegabile il fatto che egli abbia intrapreso “il viaggio metaforico alla volta dell’Italia”, interessa anche sapere che aspetto ha questo viaggio e se il cambio di luogo ovvero di tempo non sia solo un cambio d’aspetto ed un incosciente rimanere attaccato alle vecchie condizioni.

Il “mondo di contrasto” con la Repubblica di Weimar, il periodo dell’Impero austriaco – qui non è per Roth semplicemente il “bel tempo passato”, anche se questi nella sua vita tarda semplificò in toto le sue esternazioni politiche e si è espresso a favore di una restaurazione della monarchia come forma di stato. La grande arguzia dell’autore sta nel fatto di spostare indietro nella storia le vicende del romanzo; egli tenta di cancellare le tracce del presente – e mostra tuttavia in tutto questo procedimento quanto sia egli stesso da esso condizionato.

Nel romanzo “La marcia di Radetzky” la monarchia serve da metafora per il destino dell’antieroe Carl Joseph von Trotta, del nipote, che è ugualmente incapace di vivere come l’impero divenuto vecchio. Ma allo stesso tempo la monarchia impersonifica per Roth il principio del rapporto “umano” intercorrente tra le persone; la relazione “personale” tra signore e suddito, padrone e servo offre il senso di una vita altrimenti divenuta priva di significato.

Carl Joseph è l’individuo isolato alla ricerca del proprio Io. Il nonno, l’eroe di Solferino, è il primo che viene fuori dall’ordine “innato” della stirpe – da lui si era allontanato improvvisamente il padre naturale, egli affronta questo destino ancora in eroica autonomia, rimane “fedele” a se stesso abbandonando il servizio imperiale, un cavaliere della verità. Era svincolato dalla lunga marcia migratoria dei suoi avi slavi contadini. Questo ideale di colui che agisce con sicurezza ed indipendenza pesa su Carl Joseph, rinforza ulteriormente la coscienza della sua propria manchevolezza: lui è irrisoluto, pauroso, goffo fisicamente ed emotivamente impacciato; si sente come un outsider, senza patria (… lo sopraffece la certezza che lui non fosse qui di casa. Ma allora dove andare?). Affronta la realtà in modo disperatamente insicuro, e solo il modello del nonno gli dà talvolta un sostegno. Avrebbe voluto dire qualcosa di più amabile. Il nonno l’avrebbe detto e: Che cosa avrebbe fatto l’eroe di Solferino in questa difficile situazione?

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