giovedì 5 maggio 2011

Dispense (III parte)

… L’eroe di Solferino impose coincisa risolutezza al nipote titubante. Ogni contatto col mondo circostante è per lui una confrontazione che non riesce a portare a termine. Non appartiene ai camerati, agli autoctoni; il rapporto col padre è fissato da frasi formali; al di fuori della caserma la cosa che più desidera sarebbe potersi dissolvere nell’aria: giorno dopo giorno procurava al tenente un’indicibile pena comparire in colori sgargianti in mezzo ai civili in abiti scuri … La sensazione di essere destinato a qualcosa a lui estraneo (in concreto a causa del favore dell’imperatore che favorisce la carriera; poi a causa delle aspettative del padre ed infine a causa del “destino”) viene rinforzata ulteriormente a causa dei singoli sforzi di emancipazione destinati a finire tutti miseramente.

Carl Joseph si distingue dai suoi più felici camerati “autoctoni” per il fatto che è consapevole dell’assenza di senso della sua vita, mentre questi proseguono a vivere nel felice falso cameratismo non dandosi ad alcun pensiero.

Nell’alcool Trotta trova momentaneamente un mezzo per giungere ad un accordo con se stesso e con il mondo. Poiché diventava facile non appena si era bevuto! … Il tenente Trotta vedeva, quando aveva bevuto, in tutti i camerati, superiori e sottoposti vecchi e buoni amici. La cittadina gli era familiare come se lui fosse nato e cresciuto là. Ma il sollievo non dura a lungo. Allo stato sobrio il mondo ha di nuovo l’aspetto di prima, ostile e tremendo; funziona secondo regole incomprensibili e pone pretese all’individuo di cui quest’ultimo non è all’altezza.

La relazione amorosa con la moglie del brigadiere di polizia (il padre del suo eroico avo era stato anche solo brigadiere di polizia!) è un tentativo di trovare nella stirpe, nel sentimento materno, nel “semplice popolo” la propria origine, e con ciò l’identità.
Tuttavia al posto della “vita” gli si mostra la morte; d’ora in poi lui sembra essere perseguitato dalla morte, in ogni contatto con la “realtà”, in ogni importante confrontazione con il mondo circostante: per causa sua muoiono la signora Slama, il medico ebreo (“… è sempre così, come se io avessi colpa!”) e gli operai che si ribellano (Pensava che si trovavano di nuovo morti nel suo cammino).

L’amore è legato qui necessariamente con la morte, ed il destino sembra aver arrangiato tutti gli avvenimenti per caricare di colpa il protagonista. Un’azione creduta innocua causa la morte dell’amico; il tentativo di Trotta di “vivere” a Vienna con un’amica (… così iniziò ciò che lui chiamava “vita” … ) fallisce; la sfortuna lo raggiunge: quando torna alla guarnigione si giunge alla scena della sanguinosa soppressione dei lavoratori in occasione della quale lui assume il comando. Egli credette ora di sapere con certezza che un destino di tipo particolare capace di calcoli insidiosi gli aveva dapprima regalato la vacanza per poi annientarlo in un secondo tempo.

In questo punto del romanzo sembra aprirsi un varco una parte delle contraddizioni concrete della monarchia storica austriaca; affiora la riflessione sul perché questo stato alla fine è crollato; tuttavia la distanza del narratore dal protagonista è passeggera, e con un rimando ai tempi che erano proprio così e che si erano accaniti contro l’individuo, riassume importanza la situazione oggettiva solo nel suo effetto soggettivo su Trotta. Come bersaglio del destino lui diventa ora anche una specie di “eroe”: Per la durata di un breve momento il tenente fu raggiunto dalla forza sublime, di vedere in immagini, e vide i tempi come due rocce rotolare uno contro l’altro, ed egli stesso, il tenente, veniva sbriciolato tra i due. Dopo queste esperienze l’amore è per lui collegato con la morte, non può portare la redenzione alla “vita”. Egli comincia ora ancora più consapevole a sentire la mancanza della “libertà”: doveva distinguersi dalla vacanza come la guerra dalla manovra, e sente ancora più chiaramente l’impotenza personale di fronte ad un potere che sembra determinare la sua vita. Si crede dipendente da un qualsivoglia potente, maligno, invisibile mandante il cui scopo era annientare il tenente.

La sua fine viene ancora rinviata: - Dopo che l’alcool e l’amore non portano alcuna soluzione viene fuori un’ultima possibilità – per breve tempo sembra realizzata l’utopia dell’individuo identico a se stesso.

Quando viene reso noto l’assassinio dell’erede al trono Trotta prende per la prima volta una propria decisione che modifica la sua vita – lascia l’esercito. Tutto d’un tratto sa che cosa deve fare. Si sentiva tutt’uno con il suo nonno. Lui stesso era l’eroe di Solforino. Ritorna alla vita contadina dei suoi avi e diviene – da un giorno all’altro – lui stesso parte di questa vita, capisce di aver trovato la sua “patria”. Lui conosceva la lingua del paese. Capiva in certo qual modo i contadini … Era finalmente soddisfatto, solo e silenzioso. Era come se non avesse mai condotto un’altra vita. … Si viveva come il nonno … e come il bisnonno … e forse come gli avi sconosciuti e senza nome, i contadini di Sipolje.

Anche se questa vita arcaica è anche inverosimile ed irrealistica qui si tratta tuttavia di porre fine all’estraniamento – come unica possibilità dell’individuo di vivere sensatamente. Ma lo schizzo di una tale soluzione è qui solo aperto in dissolvenza, prima che il destino prenda poi il suo corso; il tempo della libertà ( sembra che non sia toccato ad un Trotta di vivere a lungo in libertà. ) è limitato. Il Trotta, che adesso va incontro alla sua fine, non è tuttavia più quello che era ancora mesi fa. E’ già apparso ora nella luce ultraterrena della morte ventura. La sua fine oggettivamente senza senso diviene alla fine – tuttavia di nuovo – conferma dell’autonomia dell’individuo borghese che può rimanere fedele ai suoi principi, a se stesso, alla sua individualità ( che viene ricostruita artificialmente attraverso il rivolgersi agli avi e all’eredità del sangue ) e che si conserva ora, abbandonato del tutto a se stesso – anche se nella morte. Non aveva paura. Non gli venne in mente che lui poteva venire colpito come gli altri. Sentì già gli spari che non erano ancora partiti, e contemporaneamente i primi motivi tambureggianti della Marcia di Radetzky. Ha trovato la sua destinazione, per i Trotta il mondo era finito, anche l’ultima ora della monarchia era suonata, l’imperatore non può sopravvivere ai Trotta! Monarchia, imperatore e Carl Joseph von Trotta si dissolvono in un’identità fatidica.

Come già detto Roth in questo romanzo non si fa portavoce di una continuazione della monarchia come una forma di stato ancora possibile. Nonostante ciò il rapporto che intercorre tra signore e suddito incarna per lui una forma di relazione personale che viene elevata ad ideale e dalla cui idealità Roth fa derivare l’eccellenza e la giustificazione morale della monarchia austriaca.

Il principio di questo rapporto appare nel romanzo in diverse varianti: - l’imperatore e l’eroe di Solferino; - l’eroe ed il suo servitore Jacques; - Carl Joseph ed il suo servo Ornufrij; ed infine l’imperatore ed il padre di Carl Joseph.

Il primo Trotta diventa eroe grazie al fatto di mettere a repentaglio la propria vita senza pensarci su due volte, ovviamente, senza pensare a se stesso. I suoi propri interessi sembrano annientati o annullati in quelli del suo signore. La paura dell’inimmaginabile … catastrofe che avrebbe annientato lui stesso, il reggimento … Questa identificazione assoluta con il padrone viene offerta anche dal vecchio servitore Jacques che ha lavorato per tutta la sua vita non per proprio tornaconto per i Trotta. Quando lui muore il suo ultimo desiderio è di vedere ancora una volta l’immagine del suo padrone. Il contenuto della sua vita sembra determinato solo da questo rapporto, ed il suo desiderio vale come conferma e convalida di una fedeltà ideale che va al di là della morte. “Quando Jacques muore allora muore in certo qual modo ancora una volta l’eroe di Solferino … Sulla lapide compare l’iscrizione: … un vecchio servo e fedele amico e ricevette un trasporto di prima classe, con quattro morelli ed otto accompagnatori in livrea.

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